Sopra il sangue secco

Sopra il sangue secco
di queste vene
saran cessate
ormai le mie pene.
Dall'oblio e dalla polvere
dove mi trovo
di queste parole
fatene tesoro.

Mi voglio rivolgere
in questa triste circostanza,
a coloro che reggono
la dea con la bilancia.

Sbagliate nel caso mio
a giudicarmi assassino
non sarò certo l'ultimo
e nemmeno il primo.

Nella vostra professione
permettersi di errare
vuol dire una vita
per sempre rovinare.

Basta, pare
un pazzo o un'illusione
per trarre errata
la conclusione.

Prima di emettere
e giudicare
vi prego, ogni nulla
di voler vagliare.

Fate che l'accusa
sia limpida e schiacciante
che non solo un fatto
sia determinante.

Perché molte volte
l'unica verità
può essere nascosta
da mille falsità.

Se nella mente
vi sorge un solo sospetto d'innocenza,
fate che sia lui
a emetter la sentenza.

Lo scrisse anni or sono
Cesare Beccaria,
«meglio cento colpevoli liberi
purché un innocente in galera non stia»
So che soltanto
mi crederete
quando sgorgar dalle vene
il mio sangue vedrete.

Il denaro e la morte
son le poche verità
in cui ancora crede
questa società.

Pietro Valpreda

("poesie dal carcere", Milano 1972)



da "il manifesto" del 09/07/2002

Addio Milano bella

L'ultimo saluto a Pietro Valpreda, il «ballerino anarchico» ingiustamente accusato della strage di piazza Fontana.

Mettetemi un po' di musica e morta lì». I compagni anarchici del Ponte della Ghisolfa hanno rispettato il desiderio di Pietro Valpreda di non farla tanto lunga, quando il momento sarebbe arrivato.
Il momento è arrivato sabato sera, quando il «ballerino anarchico», il capro espiatorio costruito a tavolino e ingiustamente perseguitato per la strage di piazza Fontana, il venditore di libri, l'oste che mesceva vino e storie, lo scrittore a quattro mani di gialli è morto nella sua abitazione in via Paolo Sarpi a 69 anni per un tumore. Un po' di jazz, Addio Lugano bella e altre canzoni anarchiche suonate dal vivo dalla Banda degli ottoni hanno accompagnato l'ultimo saluto a Pietro Valpreda. Condiviso da più di duemila persone, dall'ottantenne diritto come un fuso in completo grigio che conosceva «la Cederna» al punkabestia in canottiera, una dozzina di anellini infilzati nella labbra, casetta per il cane montata sulla bici.
In mezzo un repertorio vario di anarchici, sinistra, radicali, ex sessantottini, centri sociali, avvocati che non sono passati dall'altra parte, giornalisti protagonisti della stagione della «controinformazione». Venuti alle due di un pomeriggio caldissimo in viale Monza, dove da un pezzo ha traslocato il circolo Ponte della Ghisolfa, a rendere omaggio a un uomo e, anche, ad un passato comune. Mancavano quelli che sono andati avanti prima di Valpreda, come il fascinoso Primo Moroni e il re dei pistaroli Marco Nozza. E come la mitica zia Rachele, che indomita difese Pietro e venne accusata di falsa testimonianza.
Tanta gente che non stava tutta nel giardinetto dove la bara coperta dalle rose della moglia Pia e dalla bandiera rosso nera dell'anarchia ha sostato mentre i compagni di Pietro facevano non delle orazioni funebri, ma dei brevi interventi. Interrotto più volte dalle lacrime quello di Mauro De Cortes, poco più che bambino al tempo della bomba di piazza Fontana. Ha ricordato non l'icona Valpreda, ma «l'amico generoso», che aiutava tutti, «rideva e scherzava». E ha ricordato, accolto da un grande applauso, Pino Pinelli, «che per noi resta l'anarchico ucciso innocente in Questura».
Il 15 dicembre, alla manifestazione in piazza Fontana per Pinelli, Pietro non mancava mai. «L'anno scorso era già malato, ha voluto esserci con la voce, telefonando». Paolo Finzi, direttore della rivista A, scandisce le tre verità che «quattro gatti anarchici» dissero in una conferenza stampa al Ponte della Ghisolfa pochi giorni dopo la bomba alla Banca dell'Agricoltura. «Valpreda è innocente, Pinelli è stato assassinato, la strage è di stato».
Accolte all'epoca come «farneticazioni» da una stampa che collaborava volentieri alla mostrificazione di Valpreda, la «belva assettata di sangue». Verità a cui è impermeabile quel bel tomo di Massimo De Carolis che, in morte di Valpreda, resta convinto che «la bomba l'abbia messa lui, magari da agente inconsapevole».
Il feretro, portato a spalla dagli anarchici, percorre di gran carriera un tratto di viale Monza fino alla stazione Gorla della metropolita. La gente si ferma, alza il pugno, la bara prosegue verso il cimitero dove Valpreda sarà cremato. Tutti hanno un loro ricordo di Pietro o di «quei tempi». Augusta Favro, novant'anni suonati, era l'edicolante in via Orefici, l'unico posto dove si potevano trovare le rivistine anarchiche di tutto il mondo.
Quando Pietro era in galera - ci restò tre anni - Augusta fece lo sciopero della fame per far approvare la «legge Valpreda». L'avvocato Gigi Mariani il 15 dicembre `69 accompagnò Pietro Valpreda a palazzo di giustizia di Milano. Doveva difenderlo per un volantino contro il papa, la giornata finì con Valpreda prelevato, trasportato a Roma e accusato per piazza Fontana.
Com'era Valpreda prima che il mondo gli precipitasse addosso? «Pittoresco, con una parlantina colorita da milanese ganassa, talmente mostro che in tribunale si presentò con la nonna Olimpia, un'altra delle donne della sua vita». Allora ci davamo del lei, ricorda l'avvocato. «Se lei non ha fatto niente, si fidi della giustizia», disse Mariani a Valpreda. «Quando uscì dal carcere, l'incontro e mi fulmina con una battuta: te capì a fidarsi della giustizia, tre anni seduto sul bugliolo». Lino Taschini, «comunista ora girovago indipendente», è venuto da Bergamo per «ricordare in amicizia» uno che ha pagato «più di altri».
Il 12 dicembre '69, Lino obiettore di coscienza per «motivi politici» era nel carcere militare di Peschiera del Garda. Il giorno successivo, con altri sei o sette detenuti, lo trasferiscono a Tornino per essere processato. «Alla stazione centrale di Milano dobbiamo cambiare treno, una folla inferocita ci vede con gli schiavettoni, ci insulta, grida. Quello era il clima di quei giorni».
La signora Adriana abita in viale Monza ma a salutare Valpreda è venuta «non perché sono vicina di casa, ma per vicinanza d'idee». Le spiace che Pietro sia morto «senza avere quel che voleva, tutta la verità su piazza Fontana». La condanna dei neofascisti veneti, pronunciata un anno fa, «si ferma agli esecutori materiali, è un contentino, quelli più in alto restano ignoti».
Il cantastorie Franco Trincale accenna a mezza voce, per noi, la ballata che scrisse per Pietro: «La verità del 12 dicembre l'han scritta i proletari sopra i muri, gli anarchici non c'entrano per niente, Valpreda sta in carcere innocente». Dal carcere Pietro ringraziò con una cartolina di cui Trincale va ancora orgoglioso: «La battaglia continua anche sulle corde della tua chitarra».



da "Liberazione" del 09/07/2002

Milano saluta l'anarchico Valpreda

Migliaia di pugni chiusi e una folla commossa al funerale dell'uomo ingiustamente accusato della strage di piazza Fontana.

«Mettete su un po' di musica, e poi che sia finita». Lo aveva chiesto lui. E così e stato: note di jazz. Pugni chiusi, lacrime e mille voci che cantano "Addio Lugano bella".
Faceva molto caldo ieri alle due del pomeriggio al Circolo Ponte della Ghisolfa in viale Monza 255, al funerale di Pietro Valpreda, il ballerino anarchico accusato di essere l'autore della strage di Piazza Fontana e poi scagionato dopo oltre tre anni di reclusione e cinque processi. Pietro è morto domenica di tumore nella sua casa di Milano.
Il Circolo anarchico frequentato da Valpreda ancora in epoca recente, quando la malattia glielo permetteva, è anche la sede dell'ultimo saluto ad un pezzo di storia d'Italia. Da lì, alla fine della cerimonia, uscirà la cifra dei partecipanti al funerale: trentamila.
La bara arriva dopo una mezzora, coperta da un cuscino di rose rosse e dalla bandiera nera anarchica del Circolo Ponte della Ghisolfa, in pieno sole. Ci sono tanti, tantissimi anarchici. Ci sono molti esponenti della sinistra cittadina. Rifondazione comunista è presente in forze insieme al nuovo segretario cittadino, Augusto Rocchi. C'è il capo gruppo a Palazzo Marino dei Ds, Emanuele Fiano. C'è Franca Rame, che si sente svenire nella calca delle persone, nel piccolo cortiletto; c'è Carlo Oliva, Basilio Rizzo. Ci sono, naturalmente, gli anarchici di Milano. Prendono subito la parola per ricordare la vita di Valpreda e la strategia della tensione, la "madre di tutte le stragi". Ricordano che proprio pochi giorni dopo lo scoppio della bomba alla Banca dell'Agricoltura ed il volo di Pinelli da una finestra della questura di Milano, il 17 dicembre 1969, organizzarono una conferenza stampa per dure tra cose chiarissime: «Valpreda è innocente; Pinelli è stato assassinato; la strage è di stato».
Augusta Farvo, partigiana anarchica milanese, parla a stento per ricordare quei giorni terribili: «Pietro non poteva essere a Milano con quella sua Cinquecento, come dicevano i giudici. Ma la gente ha capito. Gli scioperi erano riusciti bene, in fabbrica non c'era andato nessuno, erano tutti in piazza per Pietro. Erano tutti a gridare Valpreda libero, e Pinelli è stato ucciso». Parla Franca Rame: «Pietro ha fatto tre mesi di isolamento in carcere senza vedere né parenti né avvocati. Lo svegliavano di notte e gli gridavano: confessa, assassino. Adesso sappiamo che sono stati i fascisti, ma non sappiamo ancora chi ha ordinato quella strage che allora e anche adesso chiamiamo strage di Stato».



Folla di anarchici e amici per l'ultimo saluto a Valpreda

Erano centinaia gli anarchici e gli amici giunti da tutta Italia per dare l'ultimo saluto a Pietro Valpreda, morto l'altra notte a Milano, accusato di essere l'autore della strage di Piazza Fontana e poi scagionato dopo tre anni di reclusione e cinque processi. In tanti anche per la commemorazione al Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, a Precotto, periferia nord est di Milano. Moltissime le telefonate. E i funerali si sono svolti con grande partecipazione: una cerimonia rispettosa e commossa, turbata soltanto dal gesto di due ragazzini che da un vicino palazzo, con armi giocattolo, hanno sparato pallini di gomma fra chi si era appena allontanato dal corteo.
Per due volte, quando la bara di Valpreda è stata presa a spalle dai suoi compagni per un breve corteo lungo viale Monza, un vecchio libertario ha gridato "viva Pietro, viva l'anarchia". La gente, non solo i compagni di fede di Valpreda, ha alzato il pugno chiuso e a mezza voce ha cantato "Addio Lugano bella", l'inno degli anarchici.
Poi, tutti nel cortile del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa: vecchi anarchici, compagni di Valpreda e di Pino Pinelli (precipitato dalla finestra del quarto piano della questura durante un interrogatorio, nei giorni del dopo strage, nel dicembre 1969), ex del Movimento Studentesco milanese, qualche consigliere comunale dell'opposizione ma soprattutto gente comune amica dell'ex ballerino, della moglie Pia e del figlio Tupac Amaru.
Al Circolo era presente Augusta Farvo, partigiana anarchica milanese, la cui casa era aperta a tutti i libertari di passaggio a Milano. Anziana e malata parla a stento ma ha ricordato ancora particolari dell'inchiesta: "Pietro non poteva essere a Milano con quella sua Cinquecento, come dicevano i giudici. Ma la gente ha capito. Gli scioperi erano riusciti bene, in fabbrica non c'era andato nessuno, erano tutti in piazza per Pietro. Erano tutti a gridare Valpreda libero, e Pinelli è stato ucciso".
Franca Rame, che con il marito Dario Fo mise in scena due famosi spettacoli di contro-informazione, ha detto commossa: "E' morto per un tumore e si sa che anche i grandi dolori ti possono cambiare le cellule. Pietro ha fatto tre mesi di isolamento in carcere senza vedere né parenti né avvocati. Lo svegliavano di notte e gli gridavano: confessa, assassino. Adesso sappiamo che sono stati i fascisti, ma non sappiamo ancora chi ha ordinato quella strage che allora e anche adesso chiamiamo strage di Stato".
Valpreda, che è stato commemorato anche in Consiglio comunale (i consiglieri di Alleanza nazionale hanno abbandonato l'aula), sarà cremato e le ceneri tumulate al Cimitero Monumentale, mentre gli anarchici stanno già lavorando per istituire una fondazione con il suo nome.



da "Liberazione" del 09/07/2002

Quel debito con Pietro

Il ruolo chiave della sua figura nella lotta contro i depistaggi di Stato

La figura di Pietro Valpreda è sempre stata emblematica per i militanti di sinistra di una stagione intera, quella che a cavallo fra la fine degli anni 60 e la metà degli anni 70, vide in campo, con il susseguirsi di innumerevoli episodi di violenza e soprattutto di stragi di cittadini innocenti, il tentativo più serio e organico, mai tentato nel nostro paese, di sovvertimento delle istituzioni democratiche.
Con la strage di piazza Fontana, il 12 dicembre 1969, la strategia della tensione entrò nella sua fase più radicale. Preceduta da una impressionante sequenza di attentati dinamitardi, più di uno ogni tre giorni solo nel 1969, si propose di gettare il paese nel panico, operando per associare, anche attraverso una sapiente campagna mediatica, la crescente forza del movimento operaio e studentesco, che dominava allora la scena politica e sociale, ad ogni sorta di violenza distruttrice. Si cercò in questo modo di fermare e contrastare una richiesta di maggiore democrazia e giustizia sociale, ma soprattutto lo spostamento a sinistra, fortemente temuto, del paese.
Nelle elezioni politiche del maggio 1968 consistente era stata l'avanzata delle sinistre ( 800.000 voti in più al Pci e 1.414.000 voti al Psiup alla sua prima presentazione), mentre le lotte dei lavoratori e del movimento sindacale, che portarono in un solo anno, dal '68 al '69, le ore di sciopero da 74 a 302 milioni, rivendicavano assieme: miglioramenti salariali, una maggiore democrazia nei luoghi di lavoro, riforme sostanziali per la tutela della salute, il diritto alla casa, una riforma del sistema pensionistico agganciata ai salari.
La strategia della tensione fu in questo quadro una politica, e non semplicemente una catena di episodi sanguinosi gli uni slegati dagli altri, incardinata su un ampio schieramento reazionario, ben oltre i gruppi del terrorismo neofascista. Rappresentò, per dirla con Gramsci, un atto di sovversivismo delle classi dirigenti che si definì nel profondo di un dibattito che attraversò insieme alla borghesia italiana e suoi poteri forti, le istituzioni militari, i corpi di polizia e gli apparati di sicurezza, rapidamente ricostruitisi nel dopoguerra all'insegna del più radicale anticomunismo, riciclando e recuperando intere parti del precedente Stato fascista.
La divisione in blocchi del mondo e dell'Europa, la guerra fredda, le lotte di liberazione nazionale, a partire dal Vietnam, che incrinavano la potenza degli Stati Uniti, rappresentarono ben più di una cornice della situazione politica italiana. Costituirono motivo e ragione di un intervento e di una interferenza diretta e pesante da parte americana. L'Italia si trasformò in un campo di battaglia, al confine fra i due blocchi, teatro di una guerra a bassa intensità combattuta contro il "pericolo comunista". A riscontro storico di ciò, oggi noi sappiamo con assoluta certezza, dalle indagini condotte dalla magistratura e dai processi in corso, di un ruolo effettivo, organizzativo e logistico, svolto da militari statunitensi a fianco dei terroristi neofascisti nella esecuzione di quella strage e delle successive.
Da allora, dal 12 dicembre 1969. nulla davvero fu più come prima. Quelle bombe e quei morti, segnarono l'avvenuto passaggio di una parte importante dello Stato nell'illegalità. La strage di Piazza Fontana fu in questo senso una strage di Stato. Il corso successivo della storia venne cambiato. Alterato ne fu il gioco politico. La stessa traiettoria della sinistra ne fu in seguito modificata.
Pietro Valpreda e gli anarchici furono ingiustamente accusati e trasformati in vittime sacrificali da una vera e propria macchinazione tesa ad addebitare le stragi alla sinistra. Contro di loro si scatenò una campagna senza precedenti, una caccia alle streghe. I principali quotidiani dell'epoca pubblicarono in prima pagina la foto di Valpreda, indicandolo come la belva sanguinaria. A questo vergognoso linciaggio non si sottrasse, come molti ricorderanno, neppure l'Unità. E nella notte stessa, fra il 15 e il 16 dicembre, successiva all'arresto di Valpreda, Giuseppe Pinelli, una delle figure più rappresentative del Circolo anarchico del Ponte della Ghisolfa, precipitò da una finestra del quarto piano della Questura di Milano nel corso di un interrogatorio.
Per archiviare "l'incidente" si scrisse una delle sentenze più vergognose e incredibili della storia giudiziaria italiana. Si argomentò che Pinelli fosse stato spinto fuori da quella finestra a causa di un «malore attivo», prodottosi dall'«alterazione del suo centro di equilibrio». Per lui, a distanza di tanti anni, ancora oggi, nessuna giustizia.
La lotta per la verità fu lunga e tormentata. Una strada in salita che vide in prima fila, in uno straordinario lavoro di mobilitazione e controinformazione, quella nuova sinistra nata sull'onda del '68. Già nel maggio del 1970 usciva l'opuscolo "La Strage di Stato", frutto di un lavoro collettivo di controinchiesta condotto da avvocati e giornalisti, che avrebbe anticipato le conclusioni giudiziarie di questi anni.
La pista nera, grazie soprattutto al coraggio e alla determinazione del giudice istruttore di Treviso Giancarlo Stiz, prese corpo solo più tardi, nel '71, con gli arresti di Freda e Ventura. Nel marzo del '72 venne anche arrestato Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, e finalmente indiziati per la strage di Piazza Fontana i neofascisti veneti.
Tre furono gli anni di carcere cui fu costretto innocente Pietro Valpreda. Venne scarcerato solo il 30 dicembre del 1972 grazie ad una legge, appositamente studiata, che da allora prese il suo nome, sulla riduzione dei termini di custodia cautelare, quando ormai nell'opinione pubblica si era fatta finalmente largo la coscienza di una verità diversa e opposta a quella ufficiale. I processi successivi lo scagionarono completamente.
Oggi, a 33 anni da quei fatti, quando una nuova inchiesta giudiziaria su Piazza Fontana è finalmente approdata a Milano, il 30 giugno dello scorso anno, ad una prima sentenza di condanna nei confronti di alcuni esponenti del gruppo neofascista di Ordine Nuovo, ricordare Valpreda significa anche ricordare come la sua vicenda sia divenuta lungo tutto questo arco di tempo, la storia di un atto di accusa nei confronti delle trame nere e di Stato. "Valpreda è innocente, la strage è di Stato", questo lo slogan a lungo gridato nelle piazze, quasi una bandiera di verità, che ha contraddistinto una generazione di militanti di sinistra. Quello stesso Stato, va detto, che gli è ancora debitore, tanto più ora, di una verità piena, a lungo negata a lui e a tutti noi.



da "il manifesto" del 09/07/2002

Gli atti giudiziari lo assolvono

Parla il giudice Guido Salvini: «Migliaia di incartamenti ma nessuno lo ha mai accusato

«Le indagini di questi anni e il quadro di responsabilità che ne è uscito, di fatto cancella anche l'insufficienza di prove che fu riconosciuta a Pietro Valpreda. Questo l'ho già detto e mi sento di ripeterlo. Non mi faccia dire altro».
Quando il 12 dicembre del 1969 esplose la bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura lui aveva 15 anni. Forse non si ricorda nemmeno del «mostro» sbattuto in prima pagina da una stampa assetata di colpevoli. Eppure, negli anni successivi il giudice Guido Salvini sarà uno dei magistrati che contribuirà maggiormente allo scagionamento di Pietro Valpreda. Non per un trattamento speciale nei suoi confronti. Ma per il semplice fatto che proprio le indagini sull'omicidio Ramelli lo porteranno a ritrovare un documento in una casa milanese di via Bligny che mostrerà i legami tra i fascisti italiani e quelli veneti. Da lì, le sue indagini sulla pista veneta e sui legami con i neofascisti italiani e con i servizi, disveleranno un altro pianeta, lontanissimo da quello degli anarchici del circolo della Ghisolfa di piazzale Lugano ma interno a un sistema di potere ramificato nei gangli degli ambienti golpisti internazionali.
Oggi, a 24 ore dalla morte dell'anarchico Valpreda, le parole di Salvini, se mai ce ne fosse stato bisogno, sono un'altra parola di verità. Ci sono voluti 30 anni per scrivere questa verità giudiziaria. Quando 30 anni prima una parte della sinistra gridava «Valpreda è innocente, la strage è di Stato», veniva guardata come una scheggia impazzita. Oggi forse si va verso la verità definitiva.
Salvini di tutto ciò naturalmente non vuole parlare. Non vorrebbe neppure concederci una battuta sulla morte di PietroValpreda. Sa meglio di chiunque altro che dietro questo pezzo di storia d'Italia ci sono misteri non ancora del tutto svelati. Ci sono responsabilità che stanno emergendo a fatica dal processo sulla strage ma nessuno ancora se la sente di dire che tutta la verità è emersa. E' rimasta tra l'altro viva una scia di veleni e di sospetti che trovano nuovo alimento nel centro destra. Non importa che sui responsabili della strage sia stata scritta una sentenza di primo grado che indica nella destra gli autori materiali di quella tragedia. La destra, anche quella di governo, continua a soffiare sul fuoco. Le battute di Massimo De Carolis che parlano di Pietro Valpreda come l'autore forse inconsapevole della strage di piazza Fontana, la dicono lunga sui desideri di alcuni ambienti politici: vorrebbero poter riscrivere la storia di quegli anni così come stanno tentando di riscrivere altri spezzoni di storia del dopoguerra.
Salvini non si addentra in questi commenti. Non vuole e non può farlo. C'è ancora un processo in corso e come è noto sulla magistratura non tira una bella aria. Ma sulle responsabilità di Valpreda una battuta se la concede: «Le indagini di questi anni, il quadro che si è venuto via via delineando su piazza Fontana, rende incompatibile qualsiasi responsabilità di Valpreda nella strage e apre un quadro completamente diverso». Salvini ci tiene a chiarire questo punto: «Sia chiaro, non c'è mai stato un trattamento di favore nei suoi confronti. Ma nelle migliaia di incartamenti, di atti istruttori, di interrogatori e indagini il suo nome non è mai uscito. Questo lo posso dire con certezza».



da "il manifesto" del 09/07/2002

Quel fuoriclasse in corso Garibaldi

Mauro Decortes, del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, era un adolescente quando ha conosciuto Valpreda. Dal 1972 gli è sempre stato vicino, insieme giravano l'Italia per dimostrare che era innocente. Poi, ognuno per la sua strada, che è il corso Garibaldi, Valpreda nel suo bar a versare bicchieri agli "ultimi" e Decortes alla libreria Utopia, pochi metri più avanti. Erano insieme anche l'altra sera. «Per me è stato come un padre», dice con pudore.

Come vorresti che venisse ricordato Pietro Valpreda?

Abbiamo raccolto molti materiali e in futuro penso che approfondiremo la sua storia politica, oggi però avremmo voluto fare un funerale privato perché per molti di noi Pietro era un amico. E' stato lui a voler fare questa ultima cosa al circolo, con la musica jazz e blues. Sono sicuro che ha voluto farci l'ultimo regalo, come quando ci hanno alzato l'affitto e lui ci aiutava anche se non aveva una grande disponibilità economica. Era uno che se non sapevi dove andare ti invitava a casa sua a mangiare, invitava gente anche in vacanza, a Vasto, nella casa della nonna. Negli ultimi anni lo abbiamo apprezzato soprattutto così, come un amico sincero, ma certo Pietro è anche l'ingiustizia di piazza Fontana: cercheremo di riattualizzare la sua figura senza scadere nel rituale della commemorazione. Questa è l'idea che sarà alla base della Fondazione Valpreda, ci stiamo lavorando.

Di cosa si tratta?

Niente a che vedere con scaffali polverosi. Raccoglieremo materiale da veicolare per costruire una sorta di memoria del presente, sarà il vero archivio di piazza Fontana a disposizione delle scuole e dei luoghi della politica.

In che senso era un anarchico?

Lo era in modo, diciamo così, artigianale. Era un individuo libero che sapeva vivere fino in fondo la sua libertà, una specie di Maradona dell'anarchia, con molte contraddizioni; uno che giocava da solo ma quando serviva sapeva anche fare gioco di squadra. E' sempre stato vicino agli anarchici, anche negli ultimi tempi. Ricordo che nonostante il dottore gli avesse detto di restare a casa (aveva tre by-pass) ha voluto a tutti i costi venire a Genova per Mobilitebio. A modo suo, era interessato alla globalizzazione, diceva sempre che i suoi effetti devastanti si stavano abbattendo sui diritti degli individui.

Dopo più di trenta anni, era un uomo segnato unicamente da quella terribile esperienza?

No. Per Pietro piazza Fontana era un'ossessione ma lo diceva anche con il tono di chi dice basta lasciatemi un po' stare, però quando si trattava di ricordare, di discutere, non si tirava mai indietro. Lui ha saputo vivere e ha anche vissuto una bella vita. Il suo bar di corso Garibaldi per lui era uno straordinario punto di osservazione, attirava tutta una serie di personaggi che sembra sempre non esistano più, e invece esistono ancora: la prostituta e il suo magnaccia che litigano sempre e poi sono fidanzati, il muratore che fa il topo di appartamento ma non riesce a rubare nelle case dei poveri. Anche questi erano amici suoi. E poi la scrittura: ricordo che quasi per scherzo, per fargli un regalo, nel 1997 stampammo le cose che scriveva, era Tri dì a luii (Tre giorni a luglio, ndr), il suo primo romanzo. Adesso ne ha scritti tre e l'ultimo ha venduto migliaia di copie. Ci teneva tantissimo alla scrittura. Era meticoloso nella ricostruzione storica dei suoi gialli, continuava a chiedermi aneddoti su questo o quel periodo storico, voleva sapere anche i dettagli più insignificanti. Alcune pagine, come quelle sulla storica rivolta di San Vittore nel 1969, sono veri distillati di storia politica.

Ci sarà pure qualche cosa che proprio non riuscivi a sopportare di Pietro Valpreda?

Era un provocatore nato, a lui piaceva lasciarti di sasso, era una specie di situazionista che si divertiva a farti saltare sulla sedia, magari prendendo una posizione insostenibile per un anarchico.

Per esempio?

Mah non so, per esempio, un anarchico come lui avrebbe dovuto avere una testa votata all'internazionalismo e invece si ostinava ancora a parlare e pensare in milanese...

Cosa avrebbe detto di una giornata come questa?

L'ha detto, tre mesi prima di morire: "U Signur, chissà quante cazzate verranno fuori il giorno del mio funerale!"





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