RETE ITALIANA DISARMO E AMNESTY CONTRO LE ARMI:
DALLA RACCOLTA DI FIRME A QUELLA DI VOLTI
di Andrea Scognamillo (da "l'Unità online" del 19 marzo 2005)
Un milione di volti contro le armi. Parte anche in Italia la campagna ControlArms (www.controlarms.org) organizzata da Amnesty International, Oxfam e Rete Italiana per il disarmo (www.disarmo.org). L’obiettivo è raccogliere entro giugno 2006 un gigantesco mosaico di fotografie. Primi piani di uomini, donne e bambini che esibiscono un cartello contro il commercio di armi che ogni anno uccide milioni di persone. Precisamente una ogni minuto che passa.
La raccolta dei volti è la naturale evoluzione della raccolta di firme al tempo di Internet e della fotografia digitale. Una nuova e più penetrante forma di pressione già sperimentata a novembre dopo le elezioni americane. In quell’occasione, migliaia di cittadini degli Stati Uniti si sono fatti fotografare con un cartello: «Sorry». «Chiedevano scusa al mondo per la rielezione di Bush (www.sorryeverybody.com). Ora l’esperimento si allarga a decine di paesi per convincere i governi a sottoscrivere un trattato mondiale contro il commercio delle armi. La richiesta, appoggiata da 20 premi Nobel per la pace, è stata lanciata in Italia dalla Provincia di Roma durante la presentazione del libro «Il commercio delle armi. L’Italia nel contesto internazionale» di Chiara Bonaiuti, Francesco Terreri e Achille Ludovisi, edito da Jaca Book.
«L'Italia è il quarto produttore e il secondo esportatore mondiale di armi leggere, ed è molto probabilmente italiana anche l’arma che ha ucciso Nicola Calipari», denuncia Tonio Dell’Olio, coordinatore dell’associazione Pax Christi. «Tutti i marines americani di stanza in Iraq, infatti, hanno in dotazione una pistola Beretta 92 – continua Dell’Olio - Non è un caso che il premier Berlusconi abbia proposto l'ingegner Beretta come ambasciatore italiano negli Stati Uniti».
La corresponsabilità dell’Italia emerge soprattutto da un dato: oltre il 90% delle vittime dei conflitti odierni è provocato proprio dalle armi leggere, impiegate soprattutto nei conflitti del terzo mondo. Secondo i dati diffusi dall’Onu, tra il 1990 e il 2000 le sole armi leggere hanno causato nel mondo più di 5 milioni di morti, la metà dei quali bambini. «La realtà ci dimostra che nessun prodotto viene fabbricato se non per essere usato» prosegue Dell’Olio «tutto quello che le industrie producono è interesse delle stesse industrie che venga poi utilizzato. E dunque, bisogna fare in modo di limitare il commercio di armi se si vuole limitarne l’utilizzo».
«La produzione mondiale di armi ha subito un’accelerazione con l’11 settembre e la guerra in Iraq. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle parlare di disarmo è diventato un tabù. Le nazioni occidentali sacrificano sull’altare di una concezione di sicurezza basata esclusivamente sulla forza militare risorse ingentissime, mettendo a rischio il welfare e lo sviluppo. Chi ci guadagna è solo l’industria bellica, che in pochi anni ha visto lievitare i propri fatturati. Nel 2003 le spese militari mondiali sono cresciute dell'11%: un tasso di incremento quasi doppio rispetto al già notevole 6,5% del 2002.
Nel 2004 sono arrivate a 956 miliardi di dollari, di cui metà spesi solo dagli Stati Uniti d'America. Una cifra più alta del debito complessivo di tutti i paesi poveri. Ora nel mondo c’è un’arma ogni dieci persone, e la diffusione continua a crescere. Alimentando un circolo vizioso di impoverimento dei paesi del sud del mondo: il paradosso è che dal 2002 i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sono responsabili del 90 per cento della vendita di armi nelle zone più devastate dai conflitti: Medioriente, Asia, America Latina e Africa.
«Uno dei punti più preoccupanti della questione è che il commercio di armamenti tende sempre più ad affrancarsi dal condizionamento delle leggi e della politica. Anzi, sono gli interessi delle lobby delle armi a influenzare le scelte dei governi». È l’analisi di Giovanni Melillo, magistrato della direzione nazionale Antimafia, esperto di traffici d’armi. Inoltre, gli accordi relativi al commercio di armi sono spesso circondati da riservatezza se non da segretezza e difficilmente i reali termini delle negoziazioni sono noti. Per questo si pone un problema di controllo democratico». Tanto più che il commercio di armi tira in ballo altri interessi, muovendo le fila dell’intera economia. Lo spiega Francesco Terreri, presidente di Microfinanza: «Bisogna tener conto della convergenza di diversi interessi. Il commercio delle armi è legato a quello di petrolio, dell’oro, del legname, dei diamanti».
«La nostra legislazione è vecchia di 30 anni e ad oggi non disponiamo di nessuna forma di controllo sugli intermediatori internazionali di armi» conclude Dall’Olio. «Occorre migliorare gli strumenti legislativi e di trasparenza. La società civile in Italia ha una lunga tradizione di lotta al commercio legale e illegale di armi; la maggior parte delle vittime di un conflitto si contano fra le popolazioni civili, ed è logico che siano queste a mobilitarsi».
Parte l'iniziativa per l'adozione in sede Onu di un trattato che regoli il commercio di armamenti
«ARMI, OGNI MINUTO UNA VITTIMA»
Amnesty International e Controllarmi: ogni anno 500mila vittime, 300mila bambini soldato, 689 milioni di armi in circolazione.
di Luca Liverani (da "Avvenire" del 24 marzo 2005)
Stop al commercio mondiale senza regole delle armi. Se ogni minuto sul pianeta una persona viene ammazzata, se ogni anno i morti sono 500 mila, se sono 300 mila i bambini soldato, se il 90% delle armi assassine passa comunque attraverso canali legali, c'è qualcosa che non funziona. Basta, dice Controllarmi, la rete italiana per il disarmo di cui fanno parte 32 tra enti, associazioni e sindacati. E dà il via, anche in Italia, alla mobilitazione internazionale Control Arms di pressione sui governi: per l'adozione in sede Onu di un trattato mondiale che regolamenti il commercio di armamenti, sia quelli da guerra che quelli leggeri.
Perché alla resa dei conti fanno più morti i mitra che le armi di distruzioni di massa nucleari, chimiche e batteriologiche. A guidare la campagna in Italia è Amnesty International, che a livello internazionale promuove da ottobre 2003 la campagna assieme a Iansa (International action network on small arms) e ad Oxfam, grande ong britannica per lo sviluppo. Otto nazioni hanno già aderito, altri diciassette si sono dichiarate disponibili.
Le prime mosse sono state una foto-petizione internazionale che intende raccogliere un milione di volti. Da noi è pronto uno spot per le tivù che ha per testimonial il calciatore della Juventus Liliam Thuram. Una lettera è stata inviata il 18 marzo al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il primo traguardo internazionale è la Conferenza Onu sulle armi a New York a luglio 2006.
Spiega Marco Bertotto, presidente di Amnesty International in Italia: «Non chiediamo di vietare la produzione e l'esportazione di armi, né di introdurre elementi rivoluzionari dal punto di vista del diritto internazionale». Il primo passo sarebbe piuttosto «sistematizzare in un "contenitore" giuridicamente rigoroso i principi già presenti nei diversi trattati internazionali sui diritti umani». Il secondo sarebbe poi quello di realizzare «un sistema globale di marcatura e tracciabilità di armi e munizioni, con codici univoci e matricole standardizzate a livello internazionale». Anche per risalire, in caso di eccidi e violazioni, alla provenienza e ai passaggi delle armi. Le metodologie esistono: la tracciabilità dei prodotti alimentari pregiati, la filiera di produzione degli ogm, le procedure per recuperare i bagagli smarriti, il monitoraggio per via informatica del percorso dei plichi postali tipo "paccocelere". Terzo e ultimo passaggio, «creare meccanismi di monitoraggio, come in Italia la relazione annuale sulle esportazioni di armi», stabilita dalla legge 185.
Proprio la 185 - pur se resa meno efficace dalle modifiche introdotte nel 2003 con la ratifica del Trattato di Farnborough sulle coproduzioni europee - resta un modello. Con un limite: non disciplina le esportazioni di armi di piccolo calibro, spesso protagoniste delle guerre civili e dei conflitti tribali. «Sì, serve una "185 mondiale" - concorda Riccardo Troisi di Pax Christi e Rete Lilliput - o un trattato sulla falsariga di quello di Ottawa sulle mine».
Alla campagna Control Arms hanno già dato pubblicamente la loro adesione diverse nazioni. Il 15 marzo si è impegnato a sostenere i negoziati per un trattato vincolante anche Jack Straw, ministro degli esteri di un paese, la Gran Bretagna, tra i principali produttori di armi. «Per questo - spiega Troisi - anche l'adesione dell'Italia, secondo produttore mondiale di armi leggere, avrebbe un grande significato».
AMNESTY: VIDEO E SPOT, PARTE IN ITALIA CAMPAGNA DISARMO
PER ADOZIONE TRATTATO SU COMMERCIO ARMI ENTRO 2006
(ANSA) - ROMA, 23 MAR 2005 - Un video di 15 minuti, uno spot tv di 30 secondi,
una foto-petizione e una lettera al premier Silvio Berlusconi: parte oggi
in Italia la campagna 'Control arms', lanciata a livello internazionale
nell'ottobre 2003 da una coalizione formata da Amnesty International,
Oxfam e la rete internazionale di azione sulle armi leggere (Iansa) con
l'obiettivo di fare pressione per l'adozione in sede Onu, entro il 2006,
di un trattato mondiale sul commercio degli armamenti.
"L'Italia - ha sottolineato il presidente della sezione italiana di Amnesty, Marco
Bertotto, presentando la campagna - é al settimo posto nel mondo per
l'esportazione di armi e al secondo per quella di armi leggere e di
piccolo calibro. Nel 2003, ha venduto 1,3 miliardi di euro di armamenti,
con un incremento rispetto al 2002 che sfiora il 40%. Tra le armi
esportate vi sono 127 milioni di euro verso la Cina: prima ancora che il
presidente Ciampi a dicembre si recasse a Pechino e, in nome degli
interessi commerciali, annunciasse il vergognoso sostegno italiano
all'eliminazione dell'embargo del commercio di armi verso la Cina, il
nostro paese già aveva violato quell'embargo e la legislazione italiana".
Le norme che disciplinano in Italia questo commercio sono la legge 110 del
1975 - relativa alle armi per uso civile - e la legge 185 del 1990 -
relativa alle armi a uso militare - ma esse "non sono sufficienti a
sottoporre le esportazioni italiane a un controllo trasparente ed
efficace". Anche perché, come Amnesty sottolinea anche nella lettera a
Berlusconi, spesso non viene applicata in modo efficace: ad esempio,
autorizzando flussi di armi verso Paesi in conflitto (come Pakistan e
India) e Paesi in cui viene applicata la pena di morte, si pratica la
tortura o non c'é rispetto per i diritti umani.
Un altro aspetto
preoccupante è che in Italia non esiste una definizione specifica di 'armi
di piccolo calibro', quindi solo poche di esse sono classificate come
'armi da guerra' e per questo non rientrano nella legge 185. La maggior
parte delle armi di piccolo calibro esportate dall'Italia è classificata
'a uso civile' e quindi rientrano nella legge 110, "più elastica e meno
trasparente". Si tratta di armi da fuoco, da caccia e sportive -
sottolineano - molto utilizzate per compiere abusi e violazioni del
diritto umanitario in tutto il mondo, aggirando gli embarghi
internazionali.
Armi che - come ha precisato Maurizio Simoncelli,
anticipando dati del prossimo Rapporto dell'Archivio per il disarmo -
vanno per il 40% circa agli Usa, il 38% verso l'Ue, per il 6,5% all'Africa
e all'Medio Oriente e per il 5% verso l'Asia: "dove c'é guerra le nostre
armi leggere giungono" ha spiegato.
I promotori della campagna - che in
Italia fanno riferimento alla rete per il disarmo - chiedono quindi al
governo italiano di porsi "in prima fila nella revisione del Codice di
condotta sull'esportazione di armamenti, mantenendo un costante livello di
monitoraggio sui trasferimenti europei di armi" e di "offrire un supporto
pubblico e concreto" all'adozione di un Trattato sul commercio delle armi
entro il 2006. Chiedono, inoltre - come ha sottolineato Riccardo Troisi di
Lilliput - un'efficace applicazione della legge 185, l'introduzione di una
legislazione nazionale sugli intermediari di armi e l'adozione di norme
più restrittive in materia di circolazione, commercializzazione ed
esportazione di armi leggere.
Tra gli strumenti della campagna, una
foto-petizione, che intende raccogliere un milione di volti in tutto il
mondo: la galleria delle immagini sarà presentata ai governi in occasione
della seconda Conferenza dell'Onu sui traffici illeciti di armi leggere
che si terrà a New York nel luglio 2006.
LETTERA DI AMNESTY AL GOVERNO ITALIANO PER ADERIRE A CONTROL ARMS
(APCCOM) - ROMA, 23 MAR 2005 - In occasione della presentazione in Italia della campagna
'Control Arms', la sezione italiana di Amnesty International ha reso noto
il testo della lettera inviata al governo italiano "perché sostenga in
maniera pubblica ed efficace l'adozione del trattato internazionale sul
commercio delle armi". La campagna 'Control Arms' è stata lanciata a
livello internazionale il 9 ottobre 2003 da Amnesty international, Oxfam e
Iansa (International action network on small arms) e mira ad adottare
entro il 2006 un trattato sul commercio delle armi vincolante e basato sul
diritto internazionale e sui diritti umani.
Nella lettera, inviata al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e ai
ministri degli Esteri, Gianfranco Fini, degli Interni, Giuseppe Pisanu, e
della Difesa, Antonio Martino, si legge che "Amnesty international auspica
che l'Italia sia in prima fila, all'interno dell'Unione europea, nella
revisione del Codice di condotta dell'esportazione di armamenti,
mantenendo un costante livello di monitoraggio e di analisi dei dati sui
trasferimenti europei di armi e denunciando le violazioni e le carenze del
codice per favorire l'opera di revisione".
L'Italia è tra i maggiori produttori di armi e si colloca al settimo posto
a livello internazionale per il valore di armi esportate tra il 1998 e il
2002. Le norme principali che regolano il commercio delle armi sono la
legge 110 del 1975 (relativa alle armi di uso civile) e la 185 del 1990
(relativa alle armi di uso militare), ritenute insufficienti da Amnesty
per "impedire esportazioni di armi a paesi che violano i diritti umani o
il diritto umanitario". Nella lettera inviata al governo italiano, Amnesty
sottolinea infatti "l'urgenza di un'efficace e completa applicazione della
legge 185 sulle esportazioni di armamenti, unitamente all'introduzione di
una legislazione nazionale sugli intermediari di armi e all'adozione di
norme più restrittive in materia di circolazione, commercializzazione ed
esportazioni di armi leggere".
Secondo i dati forniti da Maurizio Simoncelli, membro del Consiglio
direttivo di Archivio Disarmo, nei cinque anni compresi tra il 1999 e il
2003 l'Italia ha esportato un miliardo e mezzo di armi leggere. Di queste,
il 39 per cento è andato negli Usa, il 38 per cento verso i Paesi membri
dell'Ue, il 6,5 per cento in Africa e Medio Oriente, il 5 per cento in
Asia e il 6,5 per cento verso Paesi europei non membri Ue. Secondo la
relazione annuale della Presidenza del consiglio al Parlamento, nel corso
del 2003 l'Italia ha aumentato le esportazioni del 40 per cento,
autorizzando flussi di armi per centinaia di milioni di euro verso paesi
in conflitto (Pakistan e India) e verso paesi in cui viene applicata la
pena di morte e non si rispettano i diritti umani. Tra questi la Malaysia,
dove sono state autorizzate esportazioni di armi per 166 milioni di euro,
e la Cina, dove sono state autorizzate esportazioni per 127,1 milioni di
euro nonostante l'embargo dell'Ue sulle armi.
"Il nostro made in Italy - ha ironizzato oggi il presidente della sezione
italiana, Marco Bertotto - può sempre essere motivo di orgoglio
nazionale?"
COMMERCIO ARMI: AMNESTY INTERNATIONAL, CAMPAGNA MONDIALE
PER CONTROLLARE LE ESPORTAZIONI CON APPELLI AL GOVERNO E FOTO-PETIZIONI
(SIR) - ROMA, 23 MAR 2005- 700 milioni di armi in circolazione nel mondo e 8 milioni prodotte ogni
anno. E nello stesso anno almeno 500.000 persone vengono uccise da queste
armi e 300.000 bambini soldato sono costrette ad imbracciarle. Un business
da 28 miliardi di dollari all'anno che coinvolge 1135 industrie ed è in
mano principalmente ai cinque Paesi membri del Consiglio di sicurezza Onu
(Usa, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) che vendono le armi, per il
67,6% del valore, ai Paesi in via di sviluppo, sottraendo risorse allo
sviluppo: per provare a disinnescare le conseguenze drammatiche del
traffico di armi nel mondo Amnesty international ha lanciato oggi a Roma
la Campagna "Control arms", una mobilitazione mondiale che chiede
l'adozione di un trattato sul commercio delle armi da adottare in sede Onu
entro il 2006.
La Campagna consiste in una serie di appelli al governo
italiano "per sostenere in maniera pubblica ed efficace l'adozione del
trattato e chiedere norme più restrittive nell'esportazione di armi
leggere", ha spiegato Marco Bertotto, presidente della sezione italiana di
Amnesty international, e in una originale "foto-petizione" per raccogliere
un milione di volti in tutto il mondo, da presentare ai governi in
occasione della seconda Conferenza delle Nazioni Unite sui traffici
illeciti di armi prevista a New York nel luglio 2006. "Una iniziativa ? ha
precisato Riccardo Troisi, della Rete italiana per il disarmo ? che mette
in gioco non solo la firma ma l'intera persona".
Al governo italiano viene
chiesto, in particolare, "il rigoroso rispetto della legge 185/90" per
migliorare la propria capacità di controllo sui trasferimenti di armi. La
Campagna Control arms denuncia infatti che, nel corso degli anni, "la
legge 185 è stata disapplicata dai vari governi che si sono succeduti con
una serie di decreti o con interpretazioni non conformi al dettato
legislativo". Ad esempio l'embargo dell'Ue alla Cina "è stato ritenuto
applicabile solo ad alcuni tipi di armi" mentre l'Italia ha esportato armi a
"Zimbabwe, Eritrea, Algeria, Nigeria, Colombia, India, Pakistan,
Indonesia, Israele,Russia".
"E' una fuoriuscita incontrollata di armi
dall'Italia", ha denunciato Maurizio Simonelli, dell'Archivio disarmo: "E
nel 2003 la legge 185 è stata modificata in senso peggiorativo per
facilitare le coproduzioni con i Paesi dell'Ue e della Nato", con il
rischio che "componenti italiane di armi vengano assemblate e vendute a
destinatari verso cui dall'Italia non sarebbe possibile esportare".
Al via "Control arms", campagna per un trattato internazionale sul
commercio delle armi
(REDATTORE SOCIALE) - ROMA, 23 MAR 2005 -
ROMA - Al via "Control arms", campagna per un trattato internazionale sul
commercio delle armi entro il 2006, promossa a livello internazionale da
Amnesty International, Oxfam e Iansa (International action network on
small arms), e in Italia dalla Rete italiana per il disarmo. La campagna è
stata presentata alla stampa questa mattina, presso la Sala Igea
dell'Istituto della Enciclopedia Treccani. La sensibilizzazione vuole
contribuire alla grande mobilitazione internazionale sul commercio di armi
e migliorare allo stesso tempo gli strumenti legislativi e di trasparenza
esistenti in Italia. Il nostro Paese, infatti, è il quarto produttore ed
il secondo esportatore mondiali di armi leggere. "Nel mondo in cui
viviamo, sono in circolazione quasi 700 milioni di armi e altri otto
milioni vengono prodotte ogni anno. Ci sono aziende che le fabbricano,
intermediari che le mettono in commercio, governi e privati che le
acquistano e le vendono, persone che le utilizzano. E, in fondo a questa
catena, le persone che ne muoiono, una al minuto", ha dichiarato questa
mattina Marco Bertotto, presidente della Sezione Italiana di Amnesty
International.
"In questo stesso mondo, con queste stesse armi, ogni anno almeno 500.000
esseri umani vengono ammazzati, 300.000 bambini soldato sono costretti a
imbracciarle e usarle in guerra come se fossero giocattoli, decine di
conflitti vengono sostenuti e alimentati dal traffico incontrollato dei
prodotti dell'industria militare - ha denunciato Bertotto -. Milioni di
persone pagano a caro prezzo le scelte sbagliate dei rispettivi governi,
che preferiscono investire risorse e ingigantire il loro debito estero
nella corsa agli armamenti piuttosto che sostenere programmi virtuosi, e
spesso meno costosi, di sviluppo economico e lotta alla povertà". Secondo
Amnesty International, uscire da questo cortocircuito non è impossibile,
ma richiede una mobilitazione costante e coordinata; le soluzioni concrete
sono da tempo alla portata dei governi e della comunità internazionale:
rafforzare i meccanismi di controllo nazionali, regionali e a livello
globale sui trasferimenti irresponsabili di armi ed attrezzature militari,
di sicurezza e di polizia; impedirne in ogni caso il commercio verso paesi
in stato di conflitto o responsabili di gravi violazioni dei diritti
umani; adottare quanto prima un sistema globale di identificazione e
tracciatura che consenta di risalire ai paesi che gestiscono la produzione
e l'intermediazione illecita di armi.
Alla Rete italiana per il disarmo aderiscono Acli, Amnesty International,
Archivio Disarmo, Arci, Arci Servizio Civile, Ass. Obiettori Nonviolenti,
Ass. Papa Giovanni XXIII, Associazione per la Pace, Attac, Beati i
Costruttori di Pace, Campagna Italiana contro le Mine, Campagna di
Obiezione alle Spese Militari, Centro Studi Difesa Civile, Conferenza
degli istituti Missionari in Italia, Coordinamento Comasco per la Pace,
Fim Cisl, Fiom Cgil, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Gruppo
Abele, Ics, Libera, Movimento Internazionale della Riconciliazione,
Movimento Nonviolento, Oscar, Pax Cristi, Peacelink, Rete di Lilliput,
Rete Radiè Resch, Traduttori per la Pace, Un ponte per...
A livello europeo la campagna agirà di concerto con la rete europea sul
disarmo, per una revisione del Codice di Condotta Europeo sull'export di
armamenti, che attualmente non è vincolante e risulta piuttosto debole
sotto molti aspetti, come ha ricordato Riccardo Troisi, della Rete
italiana per il disarmo. Maurizio Simoncelli, ricercatore di "Archivio
disarmo" e docente di "Mediazione dei conflitti" al Master in Educazione
alla pace presso l'Università Roma Tre, ha rilevato che nel mondo esistono
"50 aree di conflitto e di crisi" e che tra il 1999 e il 2003 l'Italia ha
esportato circa un miliardo e mezzo di euro in armi leggere ad uso civile,
di cui il 39% negli Usa, il 38% nei Paesi dell'Unione europea, il 6,5% in
Africa e Medio Oriente, il 5% in Asia. "Ma la fuoriuscita incontrollata di
armi va a finanziare guerre senza confini", ha concluso Simoncelli.
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