Ebrei e palestinesi: stesso gol, stessa canzone

Giocatore arabo segna il pari per la nazionale israeliana: «Eroe». E un brano d’amore unisce le radio dei due popoli

Non era mai capitato prima, a un arabo, di salvare la nazionale di Israele. Il salvatore è Suwan Abbas, che al 91’ ha segnato il gol del pareggio (1-1) per la nazionale israeliana nella partita contro l’Irlanda. Abbas è il capitano del Sakhnin, l’unica squadra mista del campionato israeliano: vi giocano giocatori sia ebrei sia arabi. «Sì, è stato commovente sentire 40 mila persone dello stadio invocare il mio nome. Il gol - ha detto Suwan, definito "eroe di Israele" sulla copertina del quotidiano Yedioth Ahronoth - è dedicato a tutti quanti in Israele: basta parlare di arabi e ebrei, siamo tutti un popolo solo». E, domenica, la stessa canzone d’amore è stata trasmessa dalle radio dei due popoli.

di Mara Gergolet (da "Il Corriere della Sera" di martedì 29 marzo 2005)

GERUSALEMME - Questo è un gol che si sogna una vita. Quello che arriva al 91’, il pallone che parte come una rasoiata secca dal vertice dell’area, l’angolo destro della rete che si gonfia, il portiere per terra, l’ultima azione, l’ultimo tiro, una Nazione ai tuoi piedi e nelle tue orecchie. Non capita quasi mai a un mediano, a un proletario del pallone (30 mila dollari a stagione), di trasformarsi in salvatore della patria. Non era mai capitato prima, a un arabo, di salvare la nazionale d’Israele.
Israele-Eire: 1-1, l’irlandese Gershon al 4’, Suwan Abbas al 91’. «Sì, è stato commovente sentire 40 mila persone nello stadio invocare il mio nome. Il gol è dedicato a tutti quanti in Israele: basta parlare di arabi e ebrei, siamo tutti un popolo solo». Questa la dedica di Suwan Abbas, riserva (e unico arabo) sabato sera per 74 minuti, «eroe d’Israele» domenica sulla copertina di Yedioth Ahronoth .
Altra scena, domenica di Pasqua. Accendi la radio e ti sintonizzi prima sul canale dell’esercito d’Israele, poi su Voice of Palestine . In onda, alle dieci, la stessa canzone: Nel mio cuore , la strofa in arabo a seguire quella in ebraico. La cantano David Broza, israeliano, una decina di album folk in repertorio, e Wisam Murad, palestinese, una band (Sabreen) insieme ai fratelli per cantare la vita sotto occupazione. L’hanno scritta, incontrandosi a Gerusalemme in una serie di sessioni, David e il fratello di Murad, Said. «Speriamo - dicono ai microfoni - che possa avvicinare le due nostre comunità».
Una canzone per unire due popoli divisi da uno steccato (gli israeliani e i palestinesi di Gaza e Cisgiordania). Un gol che vale molto più di una possibile qualificazione ai mondiali (Israele è nel gruppo 4: 9 punti, come Francia e Irlanda): perché porta con sé l’orgoglio e il riscatto, di Abbas e degli arabi d’Israele; ma anche il mito dell’integrazione possibile tra i 5 milioni di ebrei e gli 1,2 milioni gli arabi che condividono lo stesso Stato, lo stesso passaporto (a differenza dei palestinesi, che non ne hanno) - ma che vivono separati e, in fondo, non si conoscono.
Abbas fino a sabato era già un simbolo, ma solo per una parte d’Israele: 29 anni, una vita da «capitano» nello Sakhnin, che non è una squadra, ma la squadra di calcio degli arabi dello Stato ebraico. Di proprietà della municipalità (30 mila abitanti, quasi tutti arabi), un campo dagli spalti bassi e scalcinati, l’odore dei fertilizzanti dai vicini terreni arati: proprio lì, nel 1976, la polizia uccise durante gli scontri sei dimostranti arabi.
Eppure, lo Sakhnin è anche la prima squadra araba che ha vinto la Coppa d’Israele. Un anno fa, a maggio. Ed è stato Suwan il «capitano», a ricevere dal presidente della Repubblica Moshe Katzav, la coppa e alzarla al cielo. Sharon telefonò per complimentarsi. Quella sera 30 mila arabi d’Israele riempirono le strade: «E’ la prima volta dal 1948 (l’anno di nascita di Israele, ndr ) che tanti arabi scendono in piazza per festeggiare e non per protestare».
A portare quella coppa furono i gol di Lion Assulin, ebreo, e Gavriel Lima, brasiliano mignon. Perché lo Sakhnin è anche questo: di proprietà degli arabi, ma con una formazione multicolor, tre africani, un brasiliano, un ungherese, sei ebrei (più l’allenatore), modello Ajax in Medio Oriente. «Vuoi vedere la pace? - dice Avi Danan, difensore ebreo -. Vieni al nostro allenamento». E le differenze? «E’ normale essere amici. Certo, a volte parliamo di politica, quando scoppia un autobus o vengono uccisi i bambini palestinesi a Gaza. Poi però Abbas va in moschea e io in sinagoga, e preghiamo lo stesso Dio di vincere». Un gol che è una rivincita, per Abbas. Domenica, a Gerusalemme, i tifosi razzisti del Betar Jerusalem lo hanno fischiato: perché arabo. Una settimana più tardi li ha costretti ad applaudirlo.
Il calcio che arriva dove il resto si ferma: nella nazionale israeliana femminile under 18 , la più brava è una ragazzina araba, un talento mondiale, Reem Musa, 14 anni: «Il calcio - dice - mi ha dato delle splendide amiche ebree». Funziona come collante tra ebrei e i palestinesi «veri» dei Territori: c’è una squadra di Betlemme, Cisgiordania, che vuol partecipare a un campionato dello Stato ebraico; c’è l’allenatore del Chelsea Mourinho che viene per Pasquetta ad «allenare» la pace: 200 ragazzini israeliani e palestinesi, a disputarsi un torneo, in squadre miste.
Calcio, rock e fantasia. Magari, in questi giorni, la storia d’Israele, e dei suoi arabi, si scrive in altri dettagli. Magari nella nomina di Abu Razek a direttore generale del ministero dell’Interno. E’ la prima volta che un arabo raggiunge la vetta dell’amministrazione israeliana. Interni, non Sport. Un passo sotto al ministro. «Mentirei se dicessi - dice a Yedioth Ahronoth - che non c’è discriminazione tra arabi e israeliani, nell’educazione, bilancio, occupazione. Ci sono due diverse popolazioni, una delle quali è considerata in guerra con la società israeliana». Si può cambiare? «Sta avvenendo, è iniziato con Rabin». Ma vuoi mettere un burocrate o un calciatore e due rock star, a promuovere un sogno?



SUWAN, PROFESSIONE CALCIATORE

«Orgoglioso di essere un simbolo. Ho cantato l’inno»

di Mara Gergolet e Mara Vigevani (da "Il Corriere della Sera" di martedì 29 marzo 2005)

GERUSALEMME - «Mi sento orgoglioso, mi sento arabo e israeliano. Non credo ai politici: più parlano di pace, più la pace si allontana. Ma penso davvero che quel che è successo sabato sia un simbolo di coesistenza».
Suwan Abbas risponde al telefono dopo l’allenamento. Non parla inglese, ma l’arabo e l’ebraico, come i palestinesi cresciuti in Israele.
Lei solo una settimana fa è stato fischiato dai cori razzisti a Gerusalemme.
«Ai tifosi del Betar dico: io non ho problemi con voi, non c’è nessun motivo ideologico che mi vieta di giocare nella vostra squadra. Però l’ho dimostrato sul campo: non chinerò mai la testa, sono orgoglioso di essere quel che sono».
Lei è un simbolo anche nei Territori palestinesi?
«Non lo so, è difficile per noi capire cosa succede nei Territori, cosa provano e sentono loro. Sono due mondi alla fine separati. A me basta essere un simbolo degli arabi d’Israele, una bandiera dello Sakhnin: e il mio club ha dimostrato che ebrei e arabi possono giocare e divertirsi insieme. Dallo Sakhnin ho sempre rifiutato di muovermi, anche quando mi hanno offerto molti soldi».
Non se ne andrebbe mai?
«No. Solo se mi chiamano dall’Italia (ride)».
Ha cantato la Hatikva, l’inno nazionale di Israele, mentre sedeva in panchina, al riparo dalle telecamere?
«Tutti vogliono sapere questa cosa. No, non voglio rispondere».
Ma è vero, Suwan, che quelle parole non le piacciono: quelle che dicono: "L’anima di un ebreo piange"?
«La verità, volete la verità? Sì, l’ho cantato. L’ho fatto per i miei amici, ne ho molti nella squadra. Io li rispetto, rispetto quel che sono. Sì, per questo ho cantato l’inno d’Israele».



Mondial-2006/qualifications - Israël-Eire: Un joueur arabe "héros d'Israël"

Agence France-Presse

Le joueur arabe israélien Abbas Suan était célébré dimanche par la presse comme un "héros d'Israël" pour son but à la 90e minute ayant permis à Israël d'arracher le nul contre l'Eire (1-1) en qualificatitions au Mondial-2006 de football (groupe 4), samedi à Ramat-Gan (banlieue de Tel-Aviv).

"Héros d'Israël", titre le supplément sportif du quotidien Maariv, alors que le quotidien à grand tirage Yédiot Aharonot salue le joueur de religion musulmane par l'expression arabe "Ya Allah" ("Par Dieu").
"Abbas a lutté pour l'égalité", écrit encore le Yediot Aharanot, dans une claire allusion au fait qu'Abbas Suan ne lutte pas seulement pour l'égalité dans le match mais pour celle des droits pour la minorité arabe, qui représente près de 20% de la population.
L'ironie de l'histoire est que le même joueur avait été vilipendé il y a quelques semaines par des supporteurs d'extrême droite de l'équipe de Betar-Jérusalem et abreuvé d'injures racistes anti arabes, en principe passibles de poursuites. "Je veux bien tourner la page car je joue dans l'équipe nationale pour tous les Israéliens" juifs ou arabes, a déclaré le joueur à la radio.
Le but du joueur de Sakhnine, seule équipe arabe de 1re division israélienne et tenante de la Coupe, entré à la 73e minute, a rassuré les Israéliens qui doivent affronter la France mercredi à Ramat-Gan.
Le match a été suivi par 40.000 spectateurs, dont le Premier ministre Ariel Sharon et le leader de l'opposition, Yossef Lapid, qui se sont entendus sur le vote du budget juste avant la fin de la rencontre.