NEWROZ 2001 - NUOVO GIORNO n. 7/01 del 23.10.2001
News from Kurdistan
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numero a cura della redazione - Segnalare l'eventuale non gradimento di questi
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SOMMARIO
I KURDI E IL MOVIMENTO
LA TURCHIA E LA GUERRA
PROFUGHI DI GUERRA: L'ESODO
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MESSAGGIO DELL'UFFICIO KURDO DI ROMA (UIKI)
ALL'ASSEMBLEA NAZIONALE DEI FORUM SOCIALI
FIRENZE, 20-21 OTTOBRE 2001
Cari compagni, care compagne,
oggi non possiamo essere fra voi, ma sapete bene che la nostra non è un'adesione formale. Gli esuli kurdi in Italia hanno partecipato e spesso hanno aperto tutte le manifestazioni di questo movimento, da Napoli a Genova, da Roma a Perugia.
Perché noi che veniamo dalla terra ricca e fertile di Mesopotamia che un tempo era il paradiso terrestre, noi che potremmo vivere felici nel nostro paese, conosciamo invece la rapina delle risorse, la distruzione della natura e dei villaggi, la guerra, la tortura, l'esodo. Conosciamo bene tutti i frutti avvelenati della globalizzazione economica che voi denunciate in tutto il mondo.
Noi abbiamo, come voi tutti e tutte, fame e sete di libertà. Proprio per questo la prima manifestazione davanti a un consolato italiano fu a Istanbul, dopo i tragici fatti di Genova.
Essere con voi non è una scelta semplice. Il nostro partito, il PKK, che non ha mai fatto ricorso al terrorismo ed ha anche rinunciato da tre anni alla lotta armata di liberazione, è sulla lista delle organizzazioni terroriste negli Usa ed è ancora fuorilegge in Germania e in Gran Bretagna. La stessa geostrategia che ha negato e smembrato il nostro popolo, ci nega tuttora ogni legittimazione internazionale. La nostra libertà d'azione è sempre sul filo del rasoio, specialmente in questi tempi di guerra. Ma per noi la solidarietà è più importante di ogni altra cosa.
Noi siamo gli indios d'Europa, come gli zapatisti sono i kurdi d'America: non a caso abbiamo definito "zapatista" la nostra Marcia per la pace, repressa nel sangue il 1. settembre in Turchia. Ma rispetto agli altri popoli negati nel mondo, abbiamo la doppia sventura di essere vicini all'epicentro del potere e delle tensioni mondiali, il Medio oriente.
Se la guerra in corso si estenderà, come tutto lascia pensare, i kurdi ne saranno ancora una volta le prime vittime, come già nel '91 con la guerra del Golfo. Ma sono già vittime della guerra gli uomini e le donne che in questo momento affollano le carceri turche, a cominciare dal nostro presidente Ocalan, o si affollano nelle zattere della morte verso l'Europa. Perché all'ombra della guerra la Turchia trova nuova legittimazione per ciò che definisce lotta al terrorismo, ed è in realtà lotta contro il nostro popolo e contro il suo stesso popolo.
Noi lottiamo per esistere in pace e dignità.
La nostra Intifada si chiama Serhildan, ed ha lo stesso significato della parola araba. Camminare a testa alta. Decine di milioni di kurdi lottano contro una globalizzazione che li nega, che nega interi continenti, come nega bisogni e soggetti anche qui in occidente. Lottiamo per esistere liberi e uguali, non per schiacciare altri popoli.
Abbiamo ricostruito sulle macerie, in questi anni, identità nazionale e istituzioni nazionali, ma non siamo nazionalisti. Sappiamo che la libertà è indivisibile, che nessuno e libero se accanto a lui un altro essere umano è oppresso.
Per questo abbiamo proposto una soluzione democratica e federativa per la Turchia e per tutto il Medio oriente. Come voi, vogliamo globalizzare i diritti e le libertà.
A voi, nostri amici e compagni, chiediamo di tener sempre presente, in ogni momento della vostra lotta, che lottate anche per strappare il presidente Apo Ocalan alla cella della morte. Per demolire le mura delle celle che rinchiudono Leyla Zana e altri dodicimila prigionieri politici. Per restituire il sorriso a Muyesser Gunes, la presidente delle Madri della Pace che venne a Genova ed ha trovato la forza di tornare e parlare di pace a Perugia dopo che la guerra le ha strappato il suo secondo figlio.
Noi, esclusi fra gli esclusi, siamo decine di milioni e siamo parte della maggioranza dell'umanità. Voi siete minoranza nella minoranza, ma siete l'unico punto a cui, nel Nord del mondo, possiamo guardare con speranza e fiducia.
UIKI - Ufficio d'informazione del Kurdistan in Italia
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SOCIAL FORUM: GLI IMPEGNI SULLA QUESTIONE KURDA
(ASSUNTI DAI GRUPPI DI LAVORO E DALL'ASSEMBLEA NAZIONALE A FIRENZE)
LA QUESTIONE POLITICA DELLA PACE E DELLA GUERRA
La presenza degli esuli kurdi in tutte le ultime manifestazioni del movimento antiglobalizzazione in Italia, e la presenza di un rappresentante del PKK su invito della Rete No-Global al contro-vertice Nato a Napoli, hanno già dato il segno di un forte legame fra il movimento deglie sclusi della terra e il popolo negato per eccellenza.
Oggi la guerra rischia di aggravare la situazione di non legittimazione della parte kurda, definita "terrorista" dalla Turchia nonostante non abbia mai fatto ricorso al terrorismo e da due anni abbia anche rinunciato unilateralmente alla lotta armata. In cambio dell’uso delle sue basi aeree, la Turchia ha chiesto ai partner Nato europei di perseguire come "terroristi" una lunga lista di dirigenti kurdi in esilio, fra cui proprio l’ospite di Napoli, Riza Erdogan. All’interno, all’ombra della guerra continua la repressione.
Il movimento può farsi promotore di quella "diplomazia dal basso" per la pace, che dall’alto non decolla. In concreto:
L’AIUTO ALLE VITTIME DELLA REPRESSIONE E DEL CARCERE
La recente amnistia ha liberato molti ma non i 12.000 prigionieri politici, fra i quali continua il tragico sciopero della fame. Anche l’abrogazione della pena di morte deliberata dal parlamento esclude i reati "contro lo Stato", cioè quelli per i quali Ocalan e molti altri attendono l’esecuzione. E i processi politici davanti ai tribunali speciali si moltiplicano.
Questa situazione, insieme alla guerra, ha moltiplicato l’esodo. La Grecia stima che almeno 20.000 persone siano in questo momento in fuga dalla Turchia, ma è solo una ristretta avanguardia dei milioni di profughi interni.
Per sostenere la resistenza umana delle famiglie dei prigionieri politici e dei profughi interni, il Comitato Kurdistan di Firenze, "Verso il Kurdistan" di Alessandria e l’associazione Azad propongono ai Social Forum di:
LA PRESENZA DIRETTA: LA PRIMAVERA INIZIA A DIYARBAKIR!
Va raccolto ed esteso l’impegno assunto dalla Rete No-Global di Napoli, nell’assemblea di settembre scorso con Riza Erdogan: una grande delegazione, dell’ordine di centinaia di persone, che il prossimo 21 marzo, festa del Newroz (della primavera e della liberta’), partecipi alle manifestazioni di massa a Diyarbakir.
LA TUTELA DEI PROFUGHI DI GUERRA
All’interno dell’impegno generale contro il ddl segregazionista su immigrazione ed asilo, va lanciata una campagna specifica di tutela e garanzia dei profughi di guerra (afghani, kurdi, irakeni, kossovari e macedoni - specie Rom).
Si propone che questa campagna sia intitolata alla memoria di MILLI GULLU, la giovane donna e madre kurda uccisa dal proibizionismo degli ingressi e dai trafficanti mafiosi nella stiva di una nave diretta a Crotone.
Anche raccogliendo le indicazioni provenienti dal No-Border Social Forum di Gorizia, le proposte sono:
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CHI E' MUYESSER GUNES, PRESIDENTE DELLE "MADRI DELLA PACE",
PRIMO INTERVENTO ALLA MARCIA PERUGIA-ASSISI
Muyesser Gunes, 52 anni, è nata in un villaggio presso la città kurda di Bitlis, in Turchia.
Di professione è casalinga.
Aveva sei figli, di cui due sono morti nella guerriglia kurda. Un altro figlio è stato militare di leva nell’esercito turco.
Dopo la morte del primo figlio, l’intera famiglia fu costretta dai militari a lasciare il villaggio e a rifugiarsi a Istanbul, dove vive tuttora.
Nel 2001 è già stata in Italia su invito della Provincia di Firenze e del Parlamento europeo, per un giro di incontri con organismi delle donne ed enti locali in quindici città italiane. Proprio al suo ritorno in Turchia ha avuto notizia della morte del suo secondo figlio.
Dal 1999 è la presidente dell’associazione, legalmente costituita in Turchia, denominata "Iniziativa delle Madri della Pace". Questo movimento è nato nel ‘99 , erede dell’esperienza delle "Madri di piazza Galatasaray", le parenti dei "kayiplar" (desaparecidos), per iniziativa di un gruppo di donne kurde e turche che avevano perso i loro figli d’ambo le parti in guerra, e nel quadro della proposta di pace avanzata e praticata unilateralmente dal movimento kurdo negli ultimi due anni.
Le "Madri della Pace" hanno oggi una sede centrale a Istanbul e sedi locali nelle città turche di Adana e Izmir e nelle città kurde di Diyarbakir e Van. Il gruppo centrale è composto da quindici attiviste a tempo pieno, affiancate da 150-200 volontarie, di cui circa trenta turche. Stampano una rivista ed hanno una notevole attività pubblicistica.
A livello internazionale hanno contatti stabili con il Parlamento europeo, Amnesty International, diversi enti locali e movimenti delle donne in Italia, Francia, Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Belgio. Le iniziative principali sono state: la Marcia della Pace su Ankara delle donne nel 2000, fermata alle porte della capitale lasciando passare una delegazione che ha incontrato il Parlamento turco; il Meeting delle donne da tutta la Turchia a Istanbul nel settembre 2001; la delegazione di donne nel Kurdistan Sud (irakeno) per una mediazione di pace interkurda.
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LA LETTERA DI MUYESSER ALLE COMPAGNE ITALIANE DOPO L'UCCISIONE
DEL SUO SECONDO FIGLIO DA PARTE DELL'ESERCITO TURCO
Care amiche italiane,
vi scrivo dopo che al ritorno in Turchia ho avuto la terribile notizia che sapete, il cui dolore ho subito pensato di condividere con voi e con tutti gli amici che hanno convissuto i giorni del mio impegno in Italia.
Nella terra in cui sono nata e cresciuta non è mai mancata la sofferenza, la povertà, il dolore. Non ho memoria della mia giovinezza. Mi ricordo soltanto bambina e poi madre - e in mezzo, fra le due età, un grande vuoto.
La mia infanzia, e poi l'infanzia dei miei figli…
La pena della povertà lascia il segno, anche se è incomparabile con il dolore della guerra.
Ecco, è questa sofferenza che ha segnato la mia maternità. Come si assomigliano, la mia infanzia e la breve vita dei miei figli…
Ma c'è una differenza: loro volevano viverla, la loro giovinezza.
Cominciarono a sentirsi stranieri già sui banchi di scuola. Fu allora che cominciarono a porsi domande. Alla povertà materiale si affiancava questo inspiegabile senso di estraneità. Fu forse una risposta, una forma di rivolta, il fatto che il mio Mehmet diventasse il primo della sua classe? Ricordo le prime parole d'amore sul suo diario di scuola, ma so anche che non aveva un soldo in tasca neppure per portare la sua ragazza fuori a cena.
Io, gli occhi di Mehmet, la nostra povertà.
Il giorno in cui decise di andare in montagna, e a me restò soltanto il profumo della sua pelle…
Ed ancora io e i miei figli, negli anni dell'esodo…
Profughi a Istanbul, portammo con noi il dolore e la miseria. Alle nostre spalle restò la mia terra in lacrime, ed anche il mio cuore.
Questa città, che non avrei mai immaginato neppure in sogno, si rivelò troppo stretta per il mio Fuat. I suoi occhi nascosti dietro la zazzera bruna non ebbero il tempo di guardarla. Quando se ne andò sulle orme del fratello maggiore, di lui non mi restò nulla. Mi accorsi di quanto era cresciuto solo quando, alla vigilia della partenza, volle dormire come una volta nel mio letto.
Ho sentito il dolore dei miei figli prima ancora di vedere i loro corpi uccisi…
Compagne mie, per quanto il dolore si possa condividere, la sua profondità non si può comunicare. So che mi siete vicine, lo testimoniano le vostre lettere e i vostri messaggi. Del resto, quando i miei figli se ne sono andati sul sentiero della libertà sapevo bene che non li avrei più rivisti in vita. Eppure è strano l'istinto materno: in un angolo del mio cuore sopravviveva la speranza che chissà, un giorno…
Ma c'è qualcos'altro che vorrei condividere con voi: la mia speranza di futuro.
Ora so che non vedrò mai più Mehmet e Fuat, ma so anche che da tutto questo carico di dolore dovrà scaturire pace, fratellanza e convivenza. Non trovai la forza di dire al mio Fuat "Sia benedetto il latte che t'ho dato", quando posò il capo sulle mie ginocchia prima di portare il suo corpo giovane e delicato incontro ai proiettili. Ma ora vedo nitidamente il suo corpo dare libertà a tutti gli uccelli chiusi in gabbia, da un oceano all'altro.
Attraverso voi chiedo a tutte le madri del mondo di sostenere le madri kurde. So di dovere a voi e a tutti i cari compagni e compagne che ho incontrato in Italia il mio ringraziamento per il calore con cui mi siete vicini e vicine.
Con affetto, Muyesser Gunes
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GENOVA: A PROPOSITO DI TERRORISMO - E DI BRUTTE FIGURE
(dal Manifesto)
Era una rifugiata politica la "terrorista turca" alla Diaz
Per
giustificare la cosiddetta "perquisizione" alla scuola Diaz, 61 feriti e 93
arresti non convalidati dai giudici, la polizia parlò di armi, di sassi tirati
agli agenti e di latitanti da catturare. E un jolly lo giocò Arnaldo La Barbera,
che dopo Genova ha perso la direzione dell'antiterrorismo e oggi, come gli altri
funzionari intervenuti quella notte alla Diaz, è indagato per lesioni. "Tra le
persone arrestate c'era una cittadina turca, ricercata per terrorismo", disse il
prefetto a Montecitorio. I giornali di destra si scatenarono e dopo l'11
settembre hanno perfino accostato quella persona al terrorismo islamico.
A
tre mesi dalla brillante operazione che mise fine al già tragico G8 genovese, la
donna sta querelando tutti con l'assistenza degli avvocati Massimo Pastore e
Laura Tartarini. Perché non è una terrorista: è invece una rifugiata politica,
vive in Svizzera da cinque anni ed è perseguitata dal regime di Ankara in quanto
testimone di un delitto scomodo, l'omicidio di un detenuto nelle camere di
sicurezza turche. La presunta "terrorista" è protetta dalle Nazioni Unite e il
massacro della Diaz le ha fatto rivivere gli incubi peggiori. Tutte circostanze
note all'Interpol e soprattutto alla polizia italiana, che un po' per errore e
un po' per coprire la sua pagina nera, ha raccontato una bufala colossale. Fino
a trasformare in passaporto turco un lasciapassare svizzero, scritto in francese
e con tanto di indicazione: "Non valido per la Turchia".
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"DOVEVANO ESSERE QUI !"
LA PROTESTA DEI GIURISTI DEMOCRATICI ITALIANI
A seguito della brutale repressione che nel dicembre 2000 ha portato in Turchia alla morte di decine di detenuti letteralmente bruciati vivi e alla tortura applicata a centinaia di altri reclusi trasportati nelle carceri speciali denominate F-type, una delegazione di avvocati italiani del Coordinamento Nazionale Giuristi Democratici si è recata nel febbraio di quest'anno a Istanbul per una serie di incontri con rappresentanti dell'Ordine degli avvocati di Istanbul, con altre associazioni di legali, di familiari dei detenuti e con i rappresentanti delle organizzazioni che si battono contro la violazione dei diritti umani.
Tuttora è in corso, nella assoluta indifferenza dei paesi democratici, lo sciopero della fame dei detenuti che protestano per le inaccettabili condizioni di reclusione e dei loro familiari, protesta che ha già provocato altre decine di vittime.
Prosegue altresì la sistematica violazione dei diritti umani che ha ripetutamente portato alla condanna dello Stato turco da parte della Corte Europea ( negli ultimi mesi sono state comminate altre sette condanne a morte).
Drammatica è anche la situazione di molti avvocati che subiscono in prima persona la compressione del diritto irrinunciabile di difesa, negato alle persone sottoposte a processo anche impedendo il libero esercizio dell'attività di difesa.
Ad oggi sono duecento circa gli avvocati sottoposti a procedimento penale per avere tentato di svolgere senza condizionamenti il loro mandato difensivo. .
La storia dell'avvocatura turca e curda è, per molti aspetti, purtroppo, una delle più coraggiose, sia per il numero delle vittime sia per l'abnegazione e la coerenza che ne caratterizzano l'operato.
In questo spirito, e raccogliendo la richiesta degli interlocutori turchi, la delegazione del Coordinamento Giuristi democratici aveva formulato per settembre l'invito alla associazione di giuristi TOHAV di inviare in Italia dei rappresentanti per incontrare i giuristi italiani in varie città, tra cui Bologna, per discutere ed approfondire i temi delle garanzie democratiche, della tutela dei diritti di difesa, delle condizioni di detenzione in Turchia.
Ma ulteriori drammatici eventi hanno impedito che questo incontro si svolgesse.
Il primo settembre, durante l'immensa marcia per la pace che si è svolta in Turchia, nella sola città di Ankara duemila persone sono state arrestate (e " ospitate" per l'evenienza nello stadio ) e tra questi uno degli avvocati dell'associazione Tohav, poi liberato.
Il 15 settembre è stata arrestata l'intera delegazione di osservatori europei che si trovava ad Istanbul per incontrare l'associazione dei familiari dei detenuti in sciopero della fame, e tra questi l'Avv. Marcel Bossonet di Zurigo, poi rilasciato.
Il clima di intimidazione crescente nei confronti di chi intende tutelare i diritti dei cittadini ha impedito dunque la realizzazione di questo incontro in Italia. Crediamo necessario lo sforzo comune di tutti, istituzioni, associazioni e singoli, perché il diritto di difesa sia davvero garantito, e affinché la Turchia si adegui alle Convenzioni europee
Coordinamento Nazionale Giuristi Democratici
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PER LA PACE IN KURDISTAN E LA DEMOCRAZIA IN TURCHIA
Da un anno il movimento kurdo in Turchia, per la prima volta nella storia dei movimenti di liberazione, ha rinunciato unilateralmente all’uso delle armi ed ha avanzato una proposta aperta di dialogo per la pace e la democrazia in Turchia e nell’intero Kurdistan.
Mentre si riaccendono venti di guerra nel Kurdistan irakeno, e da quella regione e dalla Turchia s’intensifica l’esodo dei profughi, questa proposta non ha ancora trovato una forte sponda nelle istituzioni, nella societa' civile e nei movimenti pacifisti europei.
Ci impegnamo affinchè il Duemila sia l’anno zero d’una nuova storia, attraverso:
la ripresa di quella "diplomazia dal basso" che nell’aprile del ’97 produsse la Conferenza internazionale di Roma, per aprire la strada a una vera trattativa di pace;
la legittimazione a questo fine, in Europa e in Turchia, degli organismi rappresentativi del popolo kurdo, a partire dal suo parlamento in esilio, il Knk (Congresso nazionale kurdo), e dal suo maggiore partito, il Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan);
una forte pressione internazionale per l’abolizione della pena di morte in Turchia e per un’amnistia che sottragga all’isolamento e al carcere i prigionieri politici a partire da Abdullah Ocalan, rifugiato riconosciuto in Italia, oggi in pericolo di vita nella cella della morte di Imrali;
un’estesa cooperazione internazionale e una rete di gemellaggi, progetti, delegazioni e presenze europee che diano forza ai movimenti delle donne e della società civile kurda e turca per la pace, e che contribuiscano allo sforzo per il ritorno dei milioni di profughi e la ricostruzione dei villaggi distrutti e minati, abolendo la legislazione di emergenza che grava sulle province kurde e fermando progetti devastanti che incentivano l’esodo, come il sistema di dighe sul Tigri e l’Eufrate;
il blocco, gia' richiesto da Amnesty International, della fornitura alla Turchia di elicotteri, blindati ed altri armamenti atti alla repressione;
un’accoglienza civile dei profughi kurdi, ai quali va garantita protezione umanitaria e asilo in Italia e il ricongiungimento con i familiari in Europa, aprendo canali che li sottraggano al traffico illegale.
P. Alex Zanotelli, missionario comboniano
P. Nicola Giandomenico, coordinatore Tavola della pace
Gianni Minà, giornalista
Giovanni Conso, giurista
Luisa Morgantini, parlamentare europea
Flavio Lotti, coordinatore Enti locali per la pace
Tom Benettollo, presidente Arci
Dino Frisullo, segretario di Senzaconfine
Angela Bellei, presidente di Azad
Giuseppe Di Lello, europarlamentare e magistrato
Sandra Mecozzi, dell'Ufficio internazionale Fiom-Cgil
Don Tonio Dell'Olio, presidente di Pax Christi
Don Andrea Bigalli, parroco a S. Casciano (Fi)
Mario Gay, presidente del Cocis
Domenico Gallo, magistrato, di "Pace e diritti"
Peppe Sini, responsabile Centro ricerca per la pace di Viterbo
Massimo Ghirelli, direttore Archivio Immigrazione
Alessandra Tebaldi e Flavio Pessina, della cooperativa Amandla (Bergamo)
Simonetta Tunesi, vicecoordinatrice Anpa – Agenzia protezione ambiente
Barbara Laveggio, direttrice Ist. Cooperazione allo sviluppo (Alessandria)
Giuseppe Faso, Moreno Biagioni e altri ("Africa insieme" Toscana)
Armando Michelizzo (Com. solidarietà con la gente ex-jugoslava – Ivrea)
M. Lepore, O. Ciavatti, L. Ropa (Sinistra giovanile Bologna)
Kolja Canestrini (Studi per la pace, Milano)
Giorgio Ellero (Circolo Gramsci Prc, Trieste)
Mariella Console (Torino)
P. Marcello Storgato (superiore Missionari Saveriani)
Don Gianni Novello (vicepres. Pax Christi, comunità S.M. delle Grazie, Rossano C.)
Debora Dameri (Roma)
Titta Davalà (Consiglio federale Verdi)
Nicoletta Dentico, presidente di "Medici senza frontiere"
Nino Sergio, presidente dell’O.n.g. "Intersos"
Elisa Lion e Giuseppe Schiavello, per "Mani tese"
Giancarlo Tenaglia, Giacomo Viola ("Campagna mine", Nobel per la pace ‘97)
Davide Cerruti e Giannina Dal Bosco, per l’"Associazione per la pace"
Luciano Benini, presidente del Mir
P. Angelo Cavagna, presidente del Gavci
Stefano Guffanti e Roberto Minervino, segr. naz. Loc
Mao Valpiana, dir. "Azione nonviolenta"
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"Ankara gioca con la guerra"
Intervista allo storico turco Haluk Gerger.
"Troppi panni sporchi in casa"
Haluk Gerger, docente universitario turco, insegna anche in Germania oltre che ad Ankara dove vive. Lo abbiamo incontrato a Londra dove ha partecipato ad una serie di iniziative, tra cui la manifestazione contro la guerra di sabato scorso che ha visto oltre trentamila persone riunirsi a Trafalgar square.
La Turchia è un alleato importante per gli Usa, ma dopo gli attacchi a
New York e Washington la prima reazione è stata di estrema cautela rispetto ad
un possibile coinvolgimento...
"Sotto questo regime la Turchia non può giocare alcun ruolo significativo nella guerra al terrorismo. Primo, perché il regime distorce il vero significato di terrore. Chi lotta per la libertà - l'opposizione di sinistra e le forze democratiche come i kurdi - viene etichettato come terrorista. Secondo, la Turchia non critica la violenza e il terrorismo imperialista, anzi lo condona. Terzo, il regime utilizza spesso il terrorismo di stato. Quanto all'aggressione al popolo afghano, è evidente che il governo non solo la sostiene ma vedrebbe anche con piacere un suo allargamento a paesi vicini come Siria, Iran o Iraq (a patto di non esservi coinvolto e ottenere vantaggi politici ed economici)".
Altri paesi come il Pakistan e la Russia stanno offrendo il loro sostegno agli Usa ma a patto che gli americani non interferiscano più in loro questioni interne, come la Cecenia o il Kashmir. Crede che la Turchia stia cercando di fare la stessa cosa?
"Non c'è dubbio che il governo in bancarotta voglia utilizzare la guerra specialmente per chiedere altri soldi al Fmi, alla Banca mondiale e agli Usa. Il governo piange lacrime di coccodrillo per le vittime degli attentati ma in realtà sta facendo i suoi calcoli a mente fredda su come beneficiare del terrore e dalla violenza".
Quale è stata la reazione dei partiti islamici e della gente in generale alla guerra?
"La popolazione e i partiti islamici sembrano essere generalmente critici degli attacchi statunitensi contro l'Afghanistan. Sono certamente contrari all'allargamento della guerra ad altri paesi mediorientali e all'intervento diretto della Turchia nelle operazioni militari. Secondo gli ultimi sondaggi a condannare la guerra è tra il 75 e l'80% della popolazione. La sinistra turca e i kurdi sono certamente contrari sia alla violenza cieca dei diseredati della terra che al terrore imperialista. Sfortunatamente il governo vieta le manifestazioni e arresta la gente che protesta".
La Turchia sta attraversando un periodo di cambiamenti politici apparentemente rilevanti, come la decisione di emendare la Costituzione. Si tratta solo di un'operazione di facciata?
"Sì, questi cambiamenti sono solo cosmetici, volti a soddisfare l'Unione europea, non certo a creare un sistema realmente democratico. E' un modo per imbonirsi l'occidente. Al governo non interessano i diritti umani".
Come sono i rapporti tra i partner di governo?
"Questo governo è diventato un'agenzia del Fmi dedicata ad attuare le politiche che esso richiede, uno strumento per imporre le direttive del Fmi. Il governo ha di fatto dichiarato guerra ai poveri. Ha sviluppato programmi per un ulteriore sfruttamento. In una situazione del genere i partiti della coalizione non vogliono nuove elezioni perché sanno che sarebbero sconfitti. Ostentano quindi una solidarietà obbligata".
E intanto la crisi economica imperversa...
"La massa dei lavoratori si trova strangolata tra un'inflazione altissima, la svalutazione, la corruzione, la disoccupazione, la povertà e la repressione. Il Fmi impone alti tassi di interesse che creano una depressione che produce inflazione e disoccupazione di massa. E' una tipica crisi di stagflazione".
Il mondo occidentale sembra essersi dimenticato della questione kurda e dei diritti umani...
"Per la questione kurda, tutto è fermo. I kurdi hanno cessato la lotta armata e stanno facendo del loro meglio per aprire una fase democratica e pacifica oltre che partecipare alla vita politica del paese. Hanno dichiarato di voler prendere parte al processo parlamentare e politico e di volerlo fare in solidarietà e cooperazione con il popolo turco. Fino a questo momento l'unica risposta ottenuta è stata nuova repressione. Quanto ai diritti umani, è vero, la violazione continua ad essere sistematica, la tortura diffusa, i diritti politici negati".
E nel silenzio più totale continuano a morire i prigionieri politici e i loro familiari...
"Una tragedia umana a cui mai si è assistito in un paese civile. Migliaia di
prigionieri politici stanno resistendo contro i tentativi di rinchiuderli in
celle di isolamento dove certo incontrerebbero la demolizione fisica e morale.
Centinaia sono in sciopero della fame. Più di venti sono stati uccisi durante il
trasferimento in queste carceri speciali. Più di quaranta sono morti per lo
sciopero della fame. Oltre cinquanta sono ormai morti viventi, distrutti nel
corpo e nella mente. Ma il regime, il governo, i media e il mondo, incluso il
parlamento europeo, hanno deciso di non vedere e non sentire..."
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LA TURCHIA VA ALLA GUERRA!
L'esercito turco ha infine strappato l'autorizzazione di entrare in guerra al
fianco di Washington, proprio nel momento in cui il ministro degli Esteri
lasciava stupefatti i paesi islamici riuniti a Doha affermando che la Turchia
sarebbe contraria ad operazioni non decise o controllate dalle Nazioni
Unite.
Subito dopo la chiusura della conferenza islamica, il 10 ottobre, il
parlamento turco ha approvato un decreto che autorizza il governo ad inviare
truppe all'estero e ad ospitare truppe straniere, nel quadro dell'operazione
antiterrorismo condotta dagli Usa. Lo stesso giorno, prima ancora del via libera
del parlamento, lo Stato maggiore turco aveva già inviato degli ufficiali di
collegamento negli Stati uniti per coordinare con Washington le operazioni
contro l'Afghanistan.
Del resto il governo turco aveva già autorizzato l'utilizzo da parte delle forze angloamericane dell'aeroporto di Incirlik per le loro operazioni contro l'Afghanistan o altri paesi considerati "terroristi" dagli Usa. Inoltre l'8 ottobre scorso più di cinquemila soldati dei sedici paesi Nato avevano condotto manovre militari nella Turchia nordoccidentale per sperimentare la risposta comune a un attacco a uno stato membro dell'alleanza, ai sensi dell'articolo 5 del Trattato Nato.
I media turchi danno già notizia del fatto che due reggimenti dell'esercito turco sarebbero già stati incaricati di effettuare operazioni terrestri in Afghanistan partendo dal territorio uzbeko.
Dopo l'annuncio dato dagli Usa al consiglio di sicurezza dell'Onu che potrebbero intraprendere "ulteriori azioni" nei confronti di altri paesi, non sarebbe affatto sosprendente domani un attacco turco contro il vicino Iraq. Con conseguenze, beninteso, disastrose per la Turchia.
Durante la guerra del Golfo del 1991 la Turchia aveva dovuto dapprima accogliere il flusso di migliaia di profughi kurdi in fuga dall'Iraq, poi subire le pesanti ripercussioni economiche dell'embargo Onu contro Baghdad. Dieci anni dopo le autorità tirano il bilancio della partecipazione turca al conflitto brandendo le cifre delle perdite connesse all'embargo: 50 miliardi di dollari.
Le conseguenze economiche di un nuovo confronto militare con il vicino sudorientale sarebbero senza dubbio ancora più pesanti per la Turchia, che attraversa dalla fine dello scorso febbraio una seria crisi, aggravata dalla stagnazione mondiale seguita agli attentati negli Stati uniti. La lira turca si è deprezzata rispetto al dollaro di oltre il 50% a partire dalla crisi finanziaria di febbraio.
Ma la cosa più grave è che i popoli della Turchia - turchi, kurdi, armeni, assiri -, che hanno sofferto enormemente della quindicennale guerra sporca nel Kurdistan turco, trarranno ulteriori sofferenze dalla dipendenza finanziaria ed economica del governo dagli Stati uniti e dalle ambizioni guerresche dei militari, che non pensano ad altro che a rafforzare l'esercito e l'industria bellica.
Il dispaccio dell'agenzia AFP sull'apertura del 5. Salone internazionale dell'industria della difesa, aerospaziale e marittima (IDEF), inaugurato il 27 settembre ad Ankara, portava il titolo "Gli attentati fanno il gioco dei mercanti d'armi". Così proseguiva l'agenzia: "Gli attentati negli Usa vanno a profitto dei produttori di equipaggiamenti militari, ed i giganti del settore stimano che la lotta al terrorismo comporterà la messa in opera di nuovi sistemi d'arma".
In effetti i comandanti delle Forze armate turche hanno imposto al governo il finanziamento di un progetto di riarmo pari a 150 miliardi di dollari, a fronte di un debito estero pari già oggi ad oltre 120 miliardi di dollari.
Mentre questo progetto ambizioso era messo in forse dalla recente crisi
economica, le gerarchie militari hanno visto nella dichiarazione di guerra di
Bush l'occasione per obbligare il governo a una spesa militare ancora più
frenetica, a prezzo di un ulteriore impoverimento della popolazione.
Un'altra
motivazione dell'atteggiamento bellicista dei militari turchi è indubbiamente
l'intenzione di arrestare o sospendere alcune iniziative di riforma civile
assunte dal governo in vista dell'accelerazione del processo di adesione
all'Unione europea.
Il 3 ottobre, sotto la pressione dell'UE, il parlamento turco ha approvato una serie di emendamenti costituzionali sulla cui urgenza aveva insistito a lungo il governo, per prevenire la pubblicazione in novembre del rapporto della commissione europea incaricata di verificare lo stato di avanzamento della candidatura turca.
In realtà la riforma della Costituzione passata in parlamento, al di là dei ritocchi di alcuni articoli di stampo repressivo, non costituisce che un'ulteriore manovra del regime di Ankara per ingannare i paesi europei.
L'abolizione parziale della pena capitale esclude il leader kurdo Abdullah
Ocalan, condannato per tradimento e separatismo nel giugno del '99. In più, la
maggior parte dei circa sessanta condannati a morte in attesa di esecuzione sono
stati giudicati per reati di terrorismo, e dunque restano anch'essi esclusi
dalla riforma.
Un altro emendamento abroga il divieto di utilizzare "lingue
vietate" nell'espressione e nella comunicazione del pensiero, il che si applica
alla lingua kurda. Tuttavia, precisa il nuovo testo, "la fruizione di questo
diritto potrà subire limitazioni al fine di proteggere la sicurezza nazionale,
l'ordine pubblico e l'unità della nazione". Dopo l'approvazione
dell'emendamento, il capo di Stato maggiore gen. Kivrikoglu ha dichiarato ai
media che malgrado queste modifiche il divieto di utilizzare la lingua kurda
resterà in vigore.
La riforma rende più difficile la messa al bando dei partiti politici, ma nel
secondo turno di votazioni sono stati bloccati due emendamenti ulteriori volti a
ridurre il periodo di ineleggibilità di due leader del disciolto partito
islamico, l'ex premier Ncmettin Erbakan e l'ex sindaco di Istanbul Tayyip
Erdogan.
Ma l'aspetto più degno di nota è il fatto che la maggioranza dei
deputati ha respinto a due riprese un emendamento costituzionale che avrebbe
attribuito alle convenzioni internazionali un valore superiore a quello delle
leggi nazionali, dando così prova della volontà di Ankara di non sottomettersi
mai interamente alle norme del diritto europeo.
D'altra parte i deputati hanno bocciato un altro emendamento che tendeva a sopprimere l'immunità parlamentare nei casi in cui questa avesse impedito alla magistratura di perseguire parlamentari collusi con la mafia.
Per contro gli stessi deputati hanno votato all'ultimo istante un emendamento che non rientrava nel pacchetto di riforme, e che consentirà di portare l'ammontare delle loro pensioni al livello di quella di un Capo di Stato maggiore. All'impoverimento crescente della grande maggioranza della popolazione si è infatti contrapposto un incessante aumento degli stipendi e delle pensioni dei generali turchi, superiori ormai a quelli di un docente universitario o di un uomo di governo.
Il presidente della Corte di cassazione Sami Selcuk aveva già definito questo
insieme di cambiamenti "una perdita di tempo", e aveva rivendicato una nuova
legge fondamentale integralmente conforme alla normativa
europea.L'organizzazione umanitaria Human Rights Watch è molto più severa,
affermando che la Turchia "ha sciupato una grande occasione" poiché "l'insieme
della riforma finisce per mantenere in vigore la pena di morte e le restrizioni
della libertà di espressione e per continuare a privare i detenuti di tutele
autentiche contro la tortura: i veri perdenti saranno tutti i cittadini
turchi".
Rispetto alla pena capitale, Human Rights Watch constata ancora che
la sua abrogazione in questi termini esclude le circostanze di guerra, di
rischio di guerra e di terrorismo, a fronte del fatto che la quasi totalità
delle condanne a morte sono state emesse, dal 1980 ad oggi, proprio in simili
circostanze.
Ancora, la libertà di espressione dei giornalisti o dei responsabili politici
avrà poco da guadagnare dalla sanzione penale non più delle "dichiarazioni" ma
degli "atti" che attentino all'unità nazionale. Infine, secondo HRW, gli
emendamenti costituzionali non rimuovono le cause della tortura, a cominciare
dalla detenzione di polizia in isolamento stigmatizzata da anni dagli esperti
del Consiglio d'Europa e dell'Onu, ma si accontentano di ridurre la durata del
fermo di polizia. Va ricordato che questa è una delle motivazioni dello sciopero
della fame in corso nelle carceri turche.
(Agenzia Info-Turk 11.10.01 - trad. dal francese)
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INFATTI… RIPRODUCIAMO ALCUNI PASSAGGI DEL BOLLETTINO IN INGLESE DELLA DELEGAZIONE PERMANENTE TURCA PRESSO L'UNIONE EUROPEA "LATEST NEWS FROM TURKEY", N. 14 DELL'1-4 OTTOBRE 2001.
Deputy Chief of Staff Büyükanıt: “Turkey should be involved
in fight against terrorism"Turkey is prepared to share its experience of combating terrorism, says the Deputy Chief of staff, General Yaşar Büyükanıt. Turkey should be involved in the campaign to combat international terrorism, though it should also be r
emembered that the international community did not offer support to the country while it was striving to overcome terror threats. Instead of receiving support, Turkey saw that terrorists operating against it received training and backing from foreign countries, according to General Yaşar Büyükant, the Deputy Chief of the Turkish General Staff. Speaking at a symposium being conducted in conjunction with the Defence Trade Fair in Ankara, Büyükant said that these countries had used the issue of human rights as a shield for the activities of these groups. These countries had to see the situation as it really was and act to combat terrorism, he said. While most countries in the years following the end of the Cold War were enjoying the decrease in security concerns, it was Turkey that was strongly calling on its allies for increased awareness to the 25 year long problem posed by terrorism, he said. The current situation in the region poses many different problems for Turkey’s security, and calls for varied responses and scenarios, Büyükant said. Büyükant said that Turkey would like to let the whole world know that, as a country that had experienced terrorism, it would like to share information, exchange ideas and co-operate in security in all areas.Turkey tells UN there is no 'good' or 'bad' terrorism
While the United Nations starts to play its part in the struggle against terrorism by initiating the "Agreement on Drying up the Financial Sources of the Terrorists," Turkey has signed the Agreement with no reservations, Turkey's U.N. Representative Ambassador Umit Pamir said.
Pamir reiterated Turkey's position in the Security Council meeting the day before by stating that the attacks on Sept. 11 was made against humanity, and Turkey is with the United States, who has been with Turkey during its long fight against terrorism. Pamir added, "Even if there was a point for a terrorist, the Sept. 11 attacks has rendered it invalid," and demanded all the countries to condemn any kind of terror. Pamir stressed the urgency of preventing drug smuggling to cope with terror. Turkish U.N. Representative said there is "no grey area" in the struggle against terror, and pointed out the importance of international cooperation and rapid action. The draft, which has been accepted in the Security Council last Friday, is an important step, said Pamir, and invited the countries to apply it without any reservation. Pamir concluded, "There is no good terrorism and bad terrorism. The threat is towards our common civilization, and the United Nations is our common house." Ankara - Turkish Daily News
Turkey to boost arms buying projects
Turkey’s military has decided to speed up a number of delayed defence equipment projects in the wake of the terrorist attacks against the US and increasing concerns over global and regional security. The Turkish Armed Forces (TAF) had previously shelved or postponed a number of its major equipment acquisition and upgrade programs, in part as a result of the worsening economic situation in the country. However, after the attacks against Washington and New York, and amidst growing fears of heightened instability, it has been decided to reactivate these projects. The Defence Acquisitions Directorate has been instructed by the General Staff to finalise negotiations on a series of major programs to strengthen the capabilities of the TAF. These include the buying of AWACs for the airforce, the modernisation of Turkey’s ageing armoured forces, the acquisition of modern attack helicopters, electronic and weapons upgrades for the airforce’s fleet of F-16 fighter aircraft and the buying of advanced ground to air missiles. Under the international conditions now prevailing, with future developments still unclear, Turkey cannot put its defence and security at risk, according to military sources.
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LA POLIZIA TURCA ATTACCA L'EUROPA, "RIPARO DI TERRORISTI"
(Turkish Daily News - 8 ottobre 2001 - traduzione dall'inglese)
La polizia turca ha reso pubblica una lista di nomi e di paesi, per convalidare l'affermazione che molti terroristi sono protetti in altri paesi, specialmente europei.
Secondo i dato forniti dall'Ufficio Interpol delle forze di sicurezza turche,
214 persone sarebbero ricercate dall'Interpol per accuse di coinvolgimento in
attività terroristiche in Turchia. (…) Inoltre l'Ufficio anti-terrorismo ha
ricordato che Dursun Karatas, il leader del gruppo rivoluzionario turco DHKP-C
responsabile del recente attacco suicida a Istanbul che portò alla morte di due
agenti di polizia e di un civile, è stato rilasciato dopo l'arresto da parte
della polizia francese (…) e per di più, essendo ammalato di cancro, sarebbe
curato nei migliori ospedali d'Europa. (…)
Comunque in testa alla lista
figurano gli esponenti del PKK. (…). Quasi tutti i dirigenti del PKK citati, in
numero di 54, sono ricercati dall'Interpol. (…)
Il vicepresidente e portavoce della Direzione delle forze di sicurezza
Feyzullah Arslan ha criticato aspramente l'Europa, affermando che il libero
riparo di questi terroristi in Europa contraddice la recente decisione della
Nato di agire in comune contro il terrorismo. Secondo Arslan "Il terrorismo non
può essere un problema di ogni singolo paese: è un nemico dell'umanità, e dunque
è un problema di tutti i popoli e gli Stati. Il mio terrorista non può essere
considerato innocente da voi". Il portavoce della polizia ha poi notato che il
terrorismo è un crimine internazionale, e per questo la Turchia ha portato
all'ordine del giorno dell'ultima riunione generale dell'Interpol le proprie
sofferenze dovute al terrorismo, chiedendo che l'Europa respinga i terroristi in
Turchia.
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LA PERSECUZIONE CONTRO IL PKK IN EUROPA
(Dal Manifesto del 13 giugno 2001 - Dino Frisullo)
Da un ventennio ogni giro di vite contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan si accompagna in Europa a montature sui presunti intrecci col narcotraffico. A fine marzo i cronisti del Piccolo e del Gr-Rai attribuiscono a "guerriglieri del Pkk" i proventi di due quintali di eroina sequestrati a Trieste, solo perchè i trasportatori sono kurdi. Una manata di fango basata sul nulla.
In effetti mentre nel Kurdistan irakeno si stringe il cerchio intorno ai guerriglieri ritiratisi dalla Turchia, la situazione in Europa è sempre più pesante per il partito che da due anni ha scelto la pace. Dopo il "Terrorism Act" che in Gran Bretagna ha criminalizzato il Pkk e la sinistra kurda e turca, il ministro dell'Interno tedesco Otto Schily ha sentenziato che "il Pkk potrebbe riprendere la lotta armata in Turchia e creare disordini in Europa". Dunque permane il bando del '93 e restano in prigione decine di attivisti. Lo stesso ministro ha diffuso i dati sulla deportazione in Turchia degli asilanti kurdi: ben 16.500 nell'ultimo triennio, nonostante le proteste di Amnesty International di Pro Asyl e dell'Ihd turca che denunciano la sistematica tortura dei rimpatriati.
Mentre anche la Grecia comincia a perseguitare profughi ed esuli kurdi, sono più tolleranti Francia, Spagna e Italia. Ma non è all'orizzonte la "legittimazione degli organismi rappresentativi del popolo kurdo, a partire dal suo maggiore partito, il Pkk" chiesta in un appello da sacerdoti come Zanotelli, Giandomenico e Dell'Olio, insieme a Minà, Conso, Benettollo, Morgantini, Serventi Longhi e molti altri.
Al contrario si conferma la "conventio ad excludendum" nei confronti di un partito la cui unità e base di consenso non sono state scalfite dall'arresto di Ocalan. Il 21 marzo due milioni di kurdi hanno gridato "Biji Serok Apo" in faccia alla polizia nel più grande Newroz della storia, come i duecentomila confluiti in novembre a Strasburgo.
Quale "terrorismo" ha un tale seguito? Se lo chiedeva a Ginevra Karen Parker nella sessione della Commissione diritti umani dell'Onu, e ironizzava: "I paesi che praticano il terrorismo di stato, come Indonesia, Srilanka, Afghanistan, Iran, Turchia, India, Sudan, Somalia e Burma, chiamano terrorista chi si batte in casa propria e combattente per la libertà chi lo fa altrove". In risposta il delegato turco Sungar definiva "gangster" i prigionieri in sciopero della fame.
In Germania non è illegale solo il Pkk. Su pressione turca le autorità tedesche vietano persino di dare nomi kurdi ai bambini nati su suolo tedesco. La cultura e la lingua kurda, con la recente eccezione della Renania-Westfalia, vivono solo nelle istituzioni autogestite come Media-Tv, l'Istituto kurdo di Berlino e l'Accademia di Colonia. Ma anche nell'Olanda che ha introdotto nelle scuole la lingua kurda si rivoltano i giovani kurdo-irakeni minacciati di espulsione, mentre il padre di Ali Aksoy, deportato e "suicidato" in Turchia, cita in giudizio il governo olandese.
La negazione vissuta in patria è intollerabile nell'esilio. Forse per questo il ventenne Ali Bolukbas si è impiccato alla catena del cesso del centro Caritas di Gorizia dopo aver ricevuto un foglio di espulsione.
"Fino a quando?" si chiedeva a Bologna il presidente della Mezzaluna Rossa kurda Aktas, aprendo il seminario di Azad, Uiki, Arci e Ics su "quale cooperazione in Kurdistan". La sua organizzazione, legittimata a Ginevra solo come osservatrice "perchè i kurdi non esistono come stato nè come popolo", sussidia centinaia di orfani e vedove di guerra, fornisce protesi agli invalidi da bombe e mine (italiane) e ora indaga sull'uso di armi di sterminio come i proiettili all'uranio. Venduti alla Turchia "solo per sperimentazione", ha ammesso il governo tedesco. Forse all’origine della rimozione del popolo kurdo e del suo principale partito, insieme a corposi interessi, c’è anche un diffuso senso di colpa.
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"TERRORISTI NOI ?"
IL COMUNICATO DEL PKK CONTRO L'INCLUSIONE NELLA LISTA NERA DEL GOVERNO USA
La notizia che il nostro partito è stato inserito dal Dipartimento di Stato Usa nella "Terza lista delle organizzazioni terroristiche" rischia, esattamente al contrario, di incoraggiare tutte le forze che fanno uso del terrore. E' assai significativo che questa decisione sia stata annunciata immediatamente a ridosso della visita negli Stati Uniti del ministro degli Esteri turco. E' noto che lo stato turco sta esercitando un'analoga pressione nei confronti dell'Unione europea. In questo modo, a partire dalla Turchia, le forze della reazione internazionale vanno preparando una nuova offensiva non solo contro il nostro partito, ma contro tutto il popolo kurdo.
E' noto a tutti che da due anni il nostro partito, dopo aver messo in atto una tregua unilaterale e aver elaborato una linea di azione pacifica basata su un'ipotesi di soluzione durevole della questione kurda, ha sviluppato una decisa e pacifica lotta politica proprio contro le forze che con la violenza puntano a creare il caos. Con questa linea il nostro partito ha aperto una prospettiva di democratizzazione della Turchia ed ha tracciato unilateralmente un percorso praticabile di soluzione politica democratica della questione kurda. Più volte il nostro partito ha fatto appello alla collaborazione con tutte le forze interessate alla trasformazione democratica, e da parte sua ha praticato questa linea di soluzione con le proprie forze.
E' anche noto che a questa decisa scelta di lotta pacifica e democratica, ed ai comportamenti conseguenti da parte nostra, non ha fatto riscontro nessun approccio responsabile di soluzione della questione kurda da parte dello Stato turco né del suo alleato nordamericano. Lo sforzo è venuto da una parte sola. L'esito reale della decisione del Dipartimento di Stato, in questa situazione, è di celare le vere responsabilità della violenza e di incoraggiare ulteriormente le forze che ne fanno uso. Per questo il nostro popolo e tutte le forze democratiche non possono che accogliere con grande amarezza una decisione che esprime un atteggiamento ostile al nostro partito e, attraverso esso, a tutto il popolo kurdo.
E' doppiamente preoccupante il fatto che una simile decisione sia venuta dopo l'attacco dell'11 settembre. E' chiaro che nel quadro della "Terza guerra mondiale contro il terrorismo" annunciata dalle autorità Usa, questa decisione assume maggior rilievo e comporta una minaccia assai seria. Proprio nel momento in cui sarebbe auspicabile la più vasta unità delle forze democratiche contro la violenza cieca e le forze oscure che ne traggono vantaggio, il più grande errore è considerare terrorista una forza politica che nasce da una profonda questione sociale e nazionale e si propone di risolverla democraticamente sulla base dei valori di libertà e giustizia. Questo approccio, al contrario, renderà ancora più difficile la soluzione della questione stessa.
Mentre chiediamo al nostro partito ed a tutti di respingere con indignazione queste menzogne e l'approccio reazionario da cui derivano, chiamiamo il nostro popolo e tutte le forze democratiche alla massima vigilanza contro queste minacce e le provocazioni che potrebbero seguirne, ed all'ulteriore sviluppo della lotta per la giustizia e la democrazia.
6 ottobre 2001
Consiglio di Presidenza del PKK
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"Senza un filo d'aria"
Parla il marito di Milli, la donna morta durante il
terribile viaggio sulla "Ackan 1"
Tre buone notizie per il regime turco: gli elogi sperticati del portavoce del
Dipartimento di stato Usa Phil Reeker all'"alleato numero uno nella lotta al
terrorismo", l'annuncio di un incontro euro-turco per spianare la strada alla
Turchia nel futuro esercito europeo, la partecipazione dell'Eni alla
progettazione della pipeline caucasica Baku-Ceyhan.
Pessime notizie per i
kurdi: altri trenta arresti nella sede del partito Hadep di Smirne per sostegno
al terrorismo. L'accusa: propaganda della "serhildan", la strategia di
resistenza civile del Pkk.
A Smirne s'era imbarcata due settimane fa la giovane Milli Gullu, per
sfuggire alla stessa prigione che ora reclude i suoi compagni di partito. Ieri
l'autopsia ha confermato la causa della morte: asfissia. Ora suo marito Huseyin
Alturk chiede solo che il corpo di Milli riposi a Istanbul, dove vivono i suoi
genitori. Provvederanno, pare, la prefettura e la Croce rossa di Crotone, e gli
esuli kurdi si preparano a darle l'estremo saluto a Fiumicino.
La voce di Huseyin è ferma mentre dal campo di Sant'Anna a Crotone rivive
al telefono l'agonia di sua moglie. Nella stiva della nave negriera "Ackan 1"
-in cui sono stati imprigionati per sette giorni 416 migranti viaggiando in
condizioni terribili - Huseyin, insieme alla moglie e alle loro bambine di otto
e dodici anni, deve aver attraversato tutti gl'inferni del dolore umano.
Ma perché un'intera famiglia mette a rischio la vita per venire in Italia?
"Perché senza libertà non c'è vita. Da Sirnak, dove spadroneggiano i Jandarma, per non sparire anch'io in un commissariato ero stato costretto a trasferirmi a Gebze, presso Istanbul. Ma la mia origine kurda mi bollava. Ogni volta che a Gebze c'era un problema la polizia veniva da noi, soprattutto dopo che nel '99 mia moglie Milli fu arrestata durante lo sciopero della fame delle donne dell'Hadep contro il sequestro di Ocalan in Kenya. La torturarono per una settimana nella caserma di Gebze, fino a lasciarla esanime sul nudo cemento di una cella. Nessun medico volle firmare il referto. Da allora la nostra vita fu in inferno. Mia figlia a undici anni dovette lasciare la scuola perché gli insegnanti la schernivano come figlia di terroristi. Quando abbiamo deciso di espatriare, Milli attendeva la sentenza del tribunale speciale per quello sciopero della fame: fino a quindici anni di prigione per sostegno al Pkk. "
Come siete partiti?
"Dopo aver dato a un mediatore mafioso 4850 dollari, tutto ciò che avevo, ci hanno chiamati. Di notte, stipati in settanta in un autobus da cinquanta posti, abbiamo viaggiato da Istanbul fino a Cesme, il porto di Smirne. Agenti di polizia, in borghese ma con pistole e radiotelefoni, ci aprivano la strada su una macchina civile. A un posto di blocco a Bursa hanno preso dall'autista del bus un pacco di banconote e l'hanno passato ai loro colleghi in divisa. Ci hanno scortati fino all'imbarco su un gommone che dopo quattro ore, forse in prossimità della costa greca, ci ha trasbordati su quella maledetta nave".
Puoi raccontarci del viaggio?
"Appena a bordo ci hanno scaraventati nella stiva e hanno sbarrato i portelloni su di noi. Eravamo l'ultimo carico, stipati su uno strato di terriccio e letame insieme a centinaia di uomini, donne e bambini, anche neonati. Erano kurdi irakeni, afghani, pakistani. Nelle diverse lingue parlavano tutti della guerra. C'erano solo tinozze d'acqua fetida e forme di formaggio e pane che nessuno toccava, perché erano ammucchiate accanto alle latrine. Si socializzava il cibo che ciascuno aveva con sé, ma non durò a lungo. Alla fine mangiammo quel pane e bevemmo quell'acqua, e l'ultimo giorno non rimase nulla da mangiare. Stavamo ammucchiati come bestie nel buio, senza un filo d'aria. Dopo due giorni Milli cominciò a vomitare. Il suo corpo si gonfiava, sembrava incinta. Abbiamo chiesto per pietà di aprire, ma si sono limitati a gettarci qualche scatola di antibiotici. E'morta quella notte stessa, e per due giorni abbiamo vegliato il suo cadavere. Alle nostre urla rispondevano le risate dell'equipaggio turco. Molti altri sarebbero morti, se i finanzieri italiani ci avessero liberati solo qualche ora più tardi. E ora siamo qui... "
La sua voce si spezza: "Come pensi che affronteranno la nuova vita le nostre bambine?"
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LA GUERRA INTERNA CONTRO I PROFUGHI: COMUNICATI DI AZAD
"GUERRA INTERNA" CONTRO I PROFUGHI KURDI A ROMA?
L'operazione condotta ieri pomeriggio da forze di polizia nel parco di Colle Oppio con insolita brutalità contro i profughi kurdi che sono costretti a soggiornarvi all'addiaccio, e conclusa con l'identificazione di quasi centocinquanta persone e con la consegna a ottanta di loro di un'inutile quanto odiosa intimazione di espatrio, è presentata oggi dal quotidiano romano Leggo, solitamente bene informato dagli apparati ministeriali, come "operazione antiterrorismo condotta in previsione della commemorazione delle vittime di New York, in programma in piazza San Giovanni".
Il portavoce dell'associazione Azad, Dino Frisullo, ha dichiarato:
"Già alcuni giorni fa denunciammo i rastrellamenti attuati su base etnico-religiosa nell'area di Termini. I dirigenti della questura di Roma negarono la circostanza, ma ora l'operazione di Colle Oppio moltiplica la preoccupazione e la protesta. Già nel '91 la guerra del Golfo fu occasione per lo sgombero dell'ex Pantanella, considerata una pericolosa concentrazione di potenziali 'nemici' in quanto islamici. I profughi kurdi, creati da una guerra condotta da un paese Nato e moltiplicati ora dai nuovi venti di guerra nell'area, non hanno quasi altro ricovero a Roma, tanto che oltre cento di loro autogestiscono la convivenza nel centro Ararat al Testaccio. I kurdi furono i primi ad esprimere la loro solidarietà con le vittime di New York in Campidoglio, all'indomani della strage. Al contrario, questo genere di operazioni dimostrano una pericolosa contiguità fra guerra e razzismo. Pochi giorni fa un animatore culturale volontario del centro Ararat, kurdo e richiedente asilo, è stato fermato e rinchiuso in isolamento per tre giorni a Lecce, ripetutamente spogliato e perquisito, prima di essere rilasciato senza spiegazioni. Sono i profughi di guerra il "nemico interno", così come in Afghanistan sono milioni di profughi le prime vittime della guerra esterna?"
Roma, 11.10.01
KURDI: L'ESODO CONTINUA
ASSOCIAZIONE AZAD: "DUE VOLTE PROFUGHI DI GUERRA"
"Duemila profughi, quasi tutti kurdi, in quindici giorni sulle coste italiane, e mancano gli undici disgraziati morti una settimana fa sugli scogli a Valona credendo di essere in Italia. In una situazione simile tre anni fa l'allora ministro Napolitano dichiarò che esiste una persecuzione del popolo kurdo. Gli ultimi due ministri dell'Interno dovrebbero spiegare come mai l'esodo continua, dopo gli accordi anti-immigrazione con quel governo turco che ne apre e chiude i rubinetti insieme alle bande mafiose, programmando cinicamente un'autentica pulizia etnica".
Così commenta gli ennesimi sbarchi in Sicilia e in Calabria l'associazione di solidarietà con il popolo kurdo Azad, che prosegue:
"Per affidarsi a migliaia alle carrette del mare, bambini e donne incinte incluse, i kurdi fuggono da qualcosa di terribile. Dalla repressione e dalla guerra che non si sono mai fermate nel Kurdistan sia turco sia irakeno, ma anche, oggi, dal rischio di una nuova guerra devastante nel Medio oriente, di cui sarebbero ancora una volta le prime vittime. Ogni nuovo bombardiere angloamericano che dalla base di Incirlik minaccia il territorio irakeno, ogni proclama dei militari turchi su una "lotta al terrorismo" che assimila Ocalan a Bin Laden, moltiplica il numero dei fuggitivi. I kurdi sono due volte profughi di guerra: avrebbero diritto non solo all'asilo (che invece lascia sempre più il posto alla catena dei rimpatri), ma a un'iniziativa internazionale che obblighi la Turchia e gli altri paesi a riconoscere l'identità e l'autonomia di un popolo e ne consenta il ritorno. Se invece l'Europa farà prevalere la ragion di Stato e i legami Nato, si dovrà preparare ad accogliere centinaia di migliaia di fuggitivi".