"Diecimila morti da nulla"
Intervista a Gino Strada a cura di Ettore Colombo
(estratto dell'intervista pubblicata dal settimanale Vita n. 5/2002)
22.01.2002
Gino Strada è alto, magro e ha la barba. Bianca. Veste sportivo, tifa Inter e ha 53 anni. Sua moglie si chiama Teresa ed è la presidente di Emergency. Sua figlia si chiama Cecilia, studia e dà una mano. A ritirare l'Ambrogino d'oro ci andò lei. Come tanti altri ragazzi, giovani e giovanissimi. Tutti pazzi per Emergency. Il chirurgo Gino Strada l'ultima volta lo abbiamo visto a luglio, mentre era in corso una manifestazione di protesta per i fatti di Genova e la morte di Carlo Giuliani. Sono passati sei mesi, ma sembra passato un secolo. In mezzo, l'11 settembre e la guerra in Afghanistan.
Vita: Cosa è successo in questi ultimi sei mesi, nella sua vita?
Gino Strada: Sono stati mesi duri, difficili. Il 13 settembre abbiamo cercato di raggiungere subito l'Afghanistan, ma il Paese era off limits anche per le organizzazioni umanitarie. In Afghanistan abbiamo due ospedali, uno nel nord e l'altro a Kabul. Quest'ultimo era stato chiuso pochi mesi prima e non per nostra volontà, ma per uno scontro con il governo talebano. Una volta entrati, a cavallo, nel Panshir controllato dall'Alleanza del Nord abbiamo chiamato i talebani. E abbiamo chiesto di poter riaprire l'ospedale. Tutte le altre organizzazioni dell'Onu e le ong evacuavano Kabul. Perché? Perché l'Onu sapeva già che gli americani avrebbero colpito l'Afghanistan. Perché non siamo andati a New York, dici? Perché non c'era bisogno di noi, lì è pieno di ospedali, Kabul no. Comunque, ci abbiamo messo giorni e giorni per entrare, attraverso un percorso impervio e accidentato, che ci ha fatto finire nell'unica zona allora raggiungibile, quella controllata dagli uomini dell'Alleanza del Nord. Ci siamo fermati lì e abbiamo iniziato a curare i loro soldati feriti come i talebani catturati e i civili sulla “linea del fronte”. Già, la linea del fronte! Agglomerati di poveri villaggi devastati dalle bombe. Poi, mentre da Kabul scappavano tutti, noi decidevamo di restare e di non evacuare nessun membro del nostro staff presente lì da anni. Altro personale di Emergency ci ha raggiunto e ha curato le centinaia di persone che arrivavano nella postazione ospedaliera aperta in Panshir. Ma attendevamo solo di poter tornare a Kabul. Quando il ministro degli Esteri talebano ci ha detto "ok, venite", abbiamo avvertito il comando Nato, gli uomini dell'Alleanza del Nord e siamo partiti. Siamo stati i primi ad arrivare a Kabul, prima dell'Alleanza del Nord. Emergency ha curato tutti: talebani, tagiki, pashtun, sauditi, pakistani e occidentali. Indifferente al credo, alla bandiera e all'etnia dei pazienti.
Vita: Ha visto in faccia la morte, le bombe, i feriti, Kabul liberata. Come rivive, oggi, quei momenti?
Strada: Innanzitutto voglio dire che le organizzazioni umanitarie, italiane e internazionali, devono capire che non si possono accettare i soldi della politica della guerra, di nessuna parte e colore. Non è un problema mio verso il governo italiano, i cui soldi abbiamo rifiutato perché ha scelto di partecipare alla guerra, ma che tutti devono sentire verso tutta la politica della guerra, compresa quella delle Nazioni Unite. L'Onu millanta di essere il coordinatore delle attività umanitarie internazionali, in Afghanistan come altrove, ma ciò è falso: da Kabul sono scappati, come la Croce Rossa, rifiutandosi di aiutare quella gente. Per quanto riguarda l'Italia, oggi siamo entrati in polemica con questo governo che va in guerra come ieri lo eravamo con il governo D'Alema che partecipava alla guerra in Kosovo. L'universo umanitario ha bisogno di una identificazione in ragioni etiche e morali, non può e non deve legarsi alla politica. Che persegue strategie proprie, diverse. Oggi, nella “guerra umanitaria” potrebbero essere morte tra le 5 e le 10mila persone. Ne ho visti tanti, di morti, ma quelli che non posso dimenticare sono i bambini squartati dalle “cluster bomb”, che mi morivano davanti, in sala operatoria. Le “cluster bomb” sono colorate di giallo, come i sacchetti degli aiuti che lanciano dagli aerei. Ne tocchi una e resti mutilato a vita.
Vita: Sei molto critico verso la politica estera degli Usa, le cui attività non si fermeranno. Se dovessero attaccare l'Iraq, dopo averle dato del filo terrorista, ti direbbero che è "amico di un dittatore"…
Strada: La politica estera degli Stati Uniti e dei suoi alleati “è” una politica terroristica, anche se di un terrorismo diverso da quella di Bin Laden e dei suoi uomini. Dobbiamo ragionare con attenzione sul termine terrorismo. Quando una guerra punta a colpire la popolazione civile e inerme come obiettivo primario, vuole dire che ha come scopo quello di seminare il terrore. Oggi l'Afghanistan è un Paese devastato, distrutto, traboccante di morti, feriti, mutilati, ma dei due capi nemici uno è introvabile, l'altro è fuggito in moto. Tora Bora è un cumulo di macerie, la Tora Bora regalata a Bin Laden dalla Cia. Di fatto, hanno raso al suolo un loro ufficio. La più grande potenza militare del mondo che dice "non faremo prigionieri", chiede di prendere Bin Laden e mullah Omar "vivi o morti", non li consegnerebbe mai a una Corte di giustizia e se cattura dei prigionieri li conduce in una base militare senza diritti e senza cure, non è una nazione civile.
(…)
Vita: Torniamo a casa, Gino, in Italia. La maggioranza della popolazione, non solo le Camere, ha espresso la sua opinione: siamo per la guerra e siamo in guerra. Dall'altra parte, abbiamo Emergency, il suo successo, la sua figura carismatica e un consenso che ha fatto della “E” un logo…
Strada: Tra gli italiani sta crescendo una cultura diversa, di pace. Il Parlamento che ha votato con percentuali “bulgare” a favore della guerra non rappresenta questo Paese. Il mondo e il tessuto sociale del volontariato, dell'obiezione di coscienza, della cooperazione sta crescendo e con esso cresce una cultura di pace nuova, diversa, che cammina insieme alla critica alla globalizzazione. Semplicemente, i mezzi d'informazione, succubi e sottomessi a logiche guerrafondaie ed economiche, raccontano balle colossali: "A Kabul in festa le donne si tolgono il burqa". Mai vista una. E i nostri soldati che oggi sarebbero "al largo delle coste afghane". Dunque, stiamo per sbarcare. Sulle coste… I media creano consenso intorno alla guerra: noi cerchiamo di controbattere.