Contro la guerra e il liberismo, per una nuova civiltà solidale
Il patto di lavoro approvato all'assemblea nazionale dei forum sociali (Bologna 2-3 marzo 2002)
1. Il nostro patto ha origine a Porto Alegre, spazio aperto e plurale di incontri e riflessioni, di formulazione di proposte e scambio di esperienze, per permettere ai movimenti sociali che si oppongono al neoliberismo e alla dominazione del mondo da parte del capitale, di costruire un'altra idea di mondo possibile, fondata innanzitutto sul protagonismo diretto degli uomini e delle donne. Ci riconosciamo nella dichiarazione dei movimenti sociali che insieme abbiamo sottoscritto a Porto Alegre a conclusione del secondo Forum sociale mondiale, in particolare nelle due discriminanti fondamentali là fissate: contro il liberismo e contro la guerra.
2. Ci rivolgiamo a quelli e quelle di Genova, uomini e donne convinte dell'illegittimità di un governo oligarchico del mondo, le cui politiche neoliberiste generano povertà, disoccupazione, devastazione ambientale. Siamo uomini e donne, sindacati e ong, associazioni e movimenti sociali, lavoratori e disoccupati, contadini e studenti, intellettuali e ambientalisti, cittadini e cittadine, impegnati a costruire una grande alleanza per creare una società nuova, contraria alla logica selvaggia del mercato e del denaro, fondata sul valore della vita umana, centrata sul primato della persona, dei bisogni e del benessere collettivo.
3. Veniamo da Assisi e poi da Roma, oppositori irriducibili, senza "se" e senza "ma", della guerra economica, sociale e militare, strumento privilegiato delle politiche dei potenti della Terra con l'obiettivo di asservire il pianeta ai propri interessi politici, economici e culturali. Un dominio oppressivo che semina odio, xenofobia, violenza sulle donne e sui più deboli in generale e che costringe interi popoli a vivere nella miseria e nella disperazione. I fatti dell'11 settembre hanno segnato una nuova svolta drammatica. Dopo gli attacchi terroristici, che abbiamo condannato assolutamente, così come condanniamo tutti gli attacchi contro i civili in altre parti del mondo, il governo degli Stati Uniti, fonte di bellicismo e di terrore nel mondo, e i suoi alleati hanno lanciato una massiccia operazione militare. In nome della "guerra al terrorismo" vengono attaccati in tutto il mondo i diritti civili e politici. La guerra contro l'Afghanistan, nella quale sono stati usati metodi terroristici, si sta espandendo ad altri fronti e non rappresenta che l'inizio di una guerra globale permanente per consolidare il dominio del governo degli Usa e dei suoi alleati. Questa guerra rivela la faccia brutale e inaccettabile del liberismo, la nostra opposizione ad essa è un elemento costitutivo della nostra azione.
4. Perseguiamo un mondo che bandisca la violenza come strumento di lotta politica. Le nostre sole discriminanti sono il ripudio della guerra, il rifiuto del razzismo, del fascismo e del sessismo. Non riconosciamo discriminazioni religiose, né culturali, così come siamo avversi e avverse a ogni forma di totalitarismo. Sosteniamo la piena libertà di scelta sessuale per tutti e tutte. Al nostro interno convivono riferimenti e pratiche differenti di conflitto: la non violenza, la disobbedienza civile e sociale, il pacifismo, lo sciopero, le manifestazioni di piazza, sono per noi forme di lotta assolutamente compatibili tra loro.
5. Siamo avversari irriducibili di qualsiasi forma di terrorismo, sia che provenga da Stati che da gruppi politici. Siamo altresì consapevoli che in nome della lotta al terrorismo si limitano i diritti civili e le libertà democratiche; si criminalizzano intere lotte popolari, come quella dei curdi, dei palestinesi, degli zapatisti o dei colombiani, legittimate invece dallo stato di oppressione, di violenza e di sterminio cui sono sottoposte; si approntano strumenti repressivi e autoritari per sgretolare le lotte sociali e uccidere la democrazia; si criminalizza il dissenso e si demonizza la protesta sociale. Mentre il terrorismo è rivolto contro di noi, contro il nostro desiderio e la nostra possiblità di costruire un mondo migliore, la lotta contro di esso, attraverso l'estensione della guerra, in realtà lo alimenta e si rivela come il suo migliore alleato. La nostra lotta al terrorismo, invece, è fondata sull'ampliamento della partecipazione democratica e sulla libera espressione dei conflitti.
6. Ci battiamo per politiche e per società in cui non domini il potere delle multinazionali, l'asservimento dei bisogni sociali agli imperativi del profitto e la sovranità degli stati e dei popoli ai comandamenti delle grandi istituzioni sovranazionali (Fmi, Omc, Banca mondiale). La globalizzazione capitalistica di cui queste istituzioni risultano attori e promotori si pone in netto contrasto con i valori da noi accettati. Questa globalizzazione non ci appartiene e per questo la rifiutiamo. Al contrario, ci battiamo per una globalizzazione solidale, dal basso, rispettosa dei diritti e delle culture degli uomini e delle donne, dei cittadini e dei lavoratori, dei popoli e dell'ambiente.
7. Siamo contro la globalizzazione che nega all'infanzia i diritti del gioco, dell'istruzione, della salute, della gioia, obbligando milioni di minori a lavorare, a fare la guerra, a morire sulle mine, a morire di inedia e malattie, a prostituirsi. Bambini considerati come merce, usati come mera risorsa economica e non rispettati quale componente essenziale per la costruzione di un mondo migliore che è già da ora più loro che nostro.
8. La globalizzazione rafforza un sistema sessista e patriarcale che favorisce l'esclusione politica e sociale delle donne, negando loro un'identità culturale, rendendole sempre più povere, alimentando la violenza contro di loro. Promuovendo la privatizzazione della salute, dell'educazione e dei servizi sociali, carica sulla famiglia, e soprattutto sulle donne, lavoro invisibile che dovrebbe ovunque essere assunto dagli Stati. Questo fenomeno limita per loro l'accesso all'educazione, agli strumenti, ai tempi e agli spazi per rappresentarsi e per partecipare alla vita sociale e politica. Il rispetto dei diritti, dei bisogni e della libertà delle donne costituisce una dimensione centrale del nostro agire: senza di questo, un altro mondo non sarà mai possibile. Allo stesso tempo, riconoscendo il diritto all'autodeterminazione di ogni uomo e di ogni donna, riconosciamo le istanze di liberazione dei gay, delle lesbiche, bisessuali e transgender, come espressione di diritti fondamentali.
9. Non siamo e non vogliamo essere un partito politico. Il nostro fine, al contrario, è quello di salvaguardare le nostre differenti identità e i nostri specifici obiettivi. Allo stesso tempo pensiamo di poter costruire un percorso comune, fatto di riflessioni e di analisi, di lotte e di iniziative rivolte al mondo esterno a noi. Non intendiamo essere autoreferenziali: crediamo invece che fuori dalle nostre associazioni, dai nostri forum, dagli ambiti politici e sociali in cui ci riconosciamo, esistano innumerevoli altre esperienze o individualità che possono essere coinvolte nel progetto di una globalizzazione solidale. E' questo lo scopo principale della nostra impresa collettiva.
10. Affermiamo il principio della democrazia partecipata, secondo il quale le decisioni non sono prese da pochi tecnocrati, ma richiedono invece il coinvolgimento attivo dei cittadini, dei lavoratori, dei popoli alle grandi decisioni collettive. Ci riferiamo ai principi della democrazia diretta e vogliamo approfondire ed estendere l'esperienza di Porto Alegre. Per queste ragioni la democrazia costituisce il fondamento del nostro lavoro collettivo: ci basiamo sul metodo del consenso per valorizzare quello che ci unisce e relativizzare quel che ci divide; crediamo nella pari dignità tra organismi a carattere nazionale e/o verticale e strutture orizzontali, che si formano dal "basso"; in questo senso il ruolo e il peso delle associazioni nazionali, dei social forum, delle soggettività organizzate hanno per noi pari valore. Rifiutiamo la personalizzazione della politica e crediamo in un metodo di decisionalità collettivo e partecipato.
11. Abbiamo principi comuni, ma anche obiettivi comuni.
a. Il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l'Organizzazione mondiale del commercio, la Nato, mirano a costituire la struttura di un potere transnazionale che sovrasta i diritti delle persone, dei popoli, delle nazioni. Noi non ne riconosciamo la legittimità. Ci battiamo invece per l'istituzione di organismi internazionali democratici, la cui legittimità risieda non solo sui governi, ma anche sulla partecipazione attiva della società.
b. Riteniamo illegittimo il debito pubblico internazionale dei paesi del Sud, che, funzionando da strumento di dominio, priva i popoli dei loro diritti fondamentali, alimenta l'usura internazionale, impone a paesi del Sud piani di aggiustamento strutturale che li costringe a produrre per l'export, a tagliare le spese sociali, ridurre l'occupazione, aumentando la povertà. Ne esigiamo l'annullamento incondizionato unitamente alla riparazione dei debiti storici, sociali ed ecologici maturati dai paesi ricchi verso quelli poveri.
c. Avversiamo la speculazione finanziaria e lo strapotere dei mercati finanziari, espressione coerente di un capitalismo selvaggio. Per questo chiediamo la soppressione dei paradisi fiscali, la tassazione delle transazioni finanziarie e l'assoggettamento delle multinazionali alle leggi dei singoli stati. L'introduzione della Tobin tax rappresenterebbe un utile passo avanti in questa direzione.
d. Ci opponiamo a ogni forma di privatizzazione delle risorse naturali e dei beni pubblici. L'energia, l'acqua, le foreste, la salute, i trasporti, l'istruzione, la comunicazione, la cultura, il sapere sono beni inalienabili che non possono essere ridotti a merce. Crediamo in uno spazio pubblico completamente rinnovato in cui, attraverso la democrazia diretta e partecipativa, siano i diretti interessati a decidere sulle grandi questioni. Lottiamo per l'ampliamento dei servizi sociali e per l'estensione dei diritti sociali globali (istruzione e sanità gratuiti, acqua, casa, ecc.) di servizi pubblici universali anche a paesi e popoli che non hanno mai beneficiato di alcuno "stato sociale".
e. Ci battiamo per un consumo critico e responsabile, equo e solidale, che favorisca la produzione rispettosa dell'ambiente e dei diritti delle persone. Consideriamo il consumismo un disvalore psicologico, etico e ambientale. Ci impegniamo, inoltre, nel boicottaggio di quelle imprese che non garantiscono il rispetto dei diritti sindacali e civili dei lavoratori, il rispetto dell'ecosistema e delle differenti culture. Crediamo che il Prodotto interno lordo costituisca uno strumento assolutamente inadeguato a misurare il livello di sviluppo di un paese e proponiamo di sostituirlo a tale scopo con un indice apposito che, introducendo specifici rivelatori ambientali, sociali e culturali determinerebbe un impegno virtuoso per il miglioramento del benessere collettivo.
f. La terra è un bene collettivo indisponibile e inaleniabile. Il suo sfruttamento in nome del profitto, provocando la concentrazione della produzione nelle mani delle multinazionali e asservendo intere produzioni nazionali al dominio oligarchico del mercato mondiale, costituisce un "crimine contro l'umanità". Chiediamo una equa redistribuzione delle risorse della terra: le sementi e il materiale genetico sono di proprietà dell'umanità. Ci battiamo per la sovranità alimentare dei popoli nei confronti degli interessi del commercio internazionale. Esigiamo l'abolizione dei prodotti transgenici e della concessione dei brevetti sulla vita. Il rispetto dell'ambiente, della salute, del lavoro, costituiscono un imperativo di qualsiasi scelta politica ed economica.
g. Esiste un crudele legame tra l'uso dissennato delle risorse ambientali del nord del mondo e il sottosviluppo e la povertà del sud del mondo. Le condizioni di assoluta miseria, la mancanza di acqua potabile e di cibo, in cui vivono miliardi di uomini e donne, dipendono anche da quei fenomeni climatici che vanno sotto il nome di "effetto serra"- crescita della temperatura, innalzamento del livello dei mari, progressivo scioglimento dei ghiacciai, avanzata dei deserti e delle zone aride - che, provocati dal mondo industrializzato, nel giro di un secolo potrebbero rendere letteralmente invivibili molte regioni della Terra. Gli effetti dell'aumento dell'effetto serra rendono infatti i poveri sempre più poveri e, al tempo stesso, il sottosviluppo amplifica ed aggrava molti problemi ambientali, compresi quelli che influiscono sul clima, anche perchè spesso le lavorazioni più pericolose e dannose vengono trasferite nei paesi più poveri. La soluzione dei problemi ambientali e l'uso equilibrato delle risorse non è questione tecnica da delegare a esperti; solo la partecipazione democratica e la cittadinanza attiva possono garantire la qualità di vita delle popolazioni e una vera società sostenibile. Per questo ci battiamo anche per la chiusura delle produzioni altamente inquinanti e nocive per i lavoratori e per le popolazioni.
h. La globalizzazione liberista produce miseria, odio, morte. Per imporsi a popolazioni intere ha bisogno della spada costituita dalla corsa agli armamenti, dall'aumento delle spese militari, dal rafforzamento e dal rinnovamento delle alleanze militari, dal potenziamento degli apparati polizieschi. Noi chiediamo lo scioglimento di queste strutture e di questi apparati perché rifiutiamo totalmente la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti ed esigiamo la fine della repressione e della criminalizzazione della protesta sociale. Ma la guerra non si fa solo con le bombe. Il ricorso all'arma della fame, sotto forma di embargo, è sempre più frequente e causa milioni di vittime, specialmente tra donne e bambini. Non esistono fini politici che giustifichino l'uso del cibo e delle medicine come armi; non riconosciamo quindi come legittimi gli embarghi che violano i diritti umani a intere popolazioni.
i. Riconosciamo ai lavoratori e alle lavoratrici gli stessi diritti sindacali, civili e politici in qualsiasi parte del pianeta e a prescindere dal colore della pelle. Mentre i beni e i capitali possono valicare senza limiti qualsiasi frontiera, le persone sono costrette a controlli umilianti, condizioni inaccettabili, repressione e schiavitù. Ci battiamo per migliorare le condizioni di vita e di lavoro, contro lo sfruttamento del lavoro minorile, per la libera circolazione delle persone, contro qualsiasi limitazione ai diritti dei migranti, per un salario dignitoso in qualsiasi parte del mondo. Ci opponiamo con fermezza a qualsiasi legislazione razzista e discriminatoria.
12. L'attuale organizzazione della produzione a livello globale passa dalla riduzione dei diritti sociali, dall'attacco al potere collettivo dei lavoratori, dalla conseguente precarizzazione e diffusione del lavoro informale. L'universalità dei diritti del lavoro è questione cruciale. Perciò ha valore non solo nazionale la mobilitazione dei lavoratori per la difesa e l'estensione dell'articolo 18 a cui il movimento può contribuire adeguatamente sia in sede europea che internazionale. Licenziamenti e disoccupazione, inoltre, si accompagnano spesso a un'impennata degli utili aziendali e delle quotazioni di borsa. Chiediamo pertanto che sia ovunque impedito per legge il ricorso al licenziamento o a forme di sussidio pubblico in presenza di utili aziendali. Allo stesso tempo ci battiamo per l'istituzione di misure, come il reddito sociale e la riduzione dell'orario di lavoro, per combattere la precarietà dilagante che l'attuale sistema economico genera in tutto il mondo, compresi i paesi occidentali, determinando l'aumento dell'insicurezza sociale, soprattutto per le giovani generazioni cui viene di fatto impedito ogni progetto di vita.
a. La crisi dell'Argentina ha dimostrato in maniera inequivocabile il fallimento del liberismo. Quello che era additato come uno dei migliori allievi del Fondo monetario internazionale è sprofondato in una crisi durissima che è costata e costa disperazione sociale, disoccupazione e povertà. Per frenare la rivolta popolare il governo argentino non ha esitato a sparare contro le manifestazioni di protesta provocando decine di morti; qualcosa di analogo e di ben più grave di quanto accaduto nel luglio di Genova. L'Argentina mostra quindi come i governi nazionali, nella loro funzione di meri esecutori delle politiche neoliberiste, finiscano poi per dover presiedere al controllo poliziesco e alla repressione. Ma mostra anche come una mobilitazione popolare, pacifica e di massa, provocando la crisi di quegli stessi governi, metta in crisi anche quelle stesse politiche internazionali, incrinando profondamente la loro legittimità
b. Anche in Italia, il governo Berlusconi si presenta come baluardo di un sistema neoliberista che favorisce in ogni modo il profitto e la rendita finanziaria, oltre che gli affari personali del presidente del Consiglio. La portata reazionaria delle politiche governative è evidente nell'attacco alla scuola pubblica, ai migranti tramite il progetto Bossi-Fini, nell'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nella "riforma" delle pensioni con il conseguente attacco al welfare, nella politica di distruzione del territorio e nella conseguente valorizzazione dell'economia criminale prodotta dalle grandi opere, nel tentativo di attaccare la legge 194 e l'autodeterminazione delle donne attraverso la leva del riconoscimento di capacità giuridica dell'embrione. Il livello di "impunità" e di aggiramento sistematico della legalità di questo governo, è espressione diretta e funzionale alla sua aggressività sociale. La legge sul conflitto di interessi, l'uso del potere per sottrarsi alla magistratura, la connivenza con poteri illeciti e oscuri fanno il paio con la sospensione della Costituzione durante le manifestazioni di Genova, con la violenza contro i e le migranti, con l'attacco ai diritti dei lavoratori, con l'aggressione ai centri di informazione alternativa e indipendente, con la criminalizzazione del consumo di droghe e con il proibizionismo. Questione democratica e questione sociale si tengono strette. Per questo vanno giudicate positivamente le iniziative sindacali che intendono coerentemente battersi per la salvaguardia e l'estensione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e che finalmente raccolgono istanze per le quali ci siamo sempre battuti. Il ruolo del movimento italiano, lungi dal sostituirsi all'azione delle forze sindacali, può essere però quello di battersi per la rottura con le politiche di concertazione e per ampliare l'opposizione sociale al governo liberista e liberticida di Berlusconi.
c. La capillarità e la sofisticazione dei mezzi di informazione rende sempre più insidioso ed egemone il potere di chi ne detiene il controllo: guerre, politiche neoliberiste, razzismo e altro vengono venduti come giusti o inevitabili attraverso la gran cassa dei mezzi di comunicazione di massa; tuttavia la stessa massificazione dell'uso dei media rompe la linearità del sistema di potere e permette che diversi soggetti intervengano nella creazione di cultura e di informazione. La concentrazione del potere della comunicazione costituisce altresì l'altra faccia dell'aggressione ai centri di informazione indipendenti e alternativi - come l'assalto di Genova alla "scuola Diaz", quello a Indymedia o il tentativo di chiudere Radiogap - forma altamente simbolica di repressione e occultamento del dissenso. Per questo ci impegniamo contro la concentrazione di tutti i mezzi di comunicazione, per la libertà di espressione, per l'accesso garantito alle risorse che le nuove tecnologie consentono.
d. Le spinte perchè l'Unione Europea si costruisca come fortezza liberista e antidemocratica sono fortissime e pericolose. Esse sono ben visibili nel metodo e nei contenuti della Carta dei Diritti, nel processo costituente aperto dalla Convenzione Europea così come nel ruolo svolto dalla Ue nelle guerre balcaniche. L'Europa per cui ci battiamo deve essere invece costruita dai cittadini e dalle cittadine, con un processo di partecipazione dal basso, un'Europa sociale schierata contro la guerra, garante dei diritti di tutti e tutte coloro che l'attraversano. Un'Europa realmente democratica, solidale, multiculturale, pacifica, impegnata nel rispetto dell'ambiente. E' con questa ambizione e sulla base dello spirito di Porto Alegre che ci impegniamo nella preparazione del primo Forum sociale europeo.
Veniamo da storie diverse e da percorsi differenti. Ma crediamo fortemente nella modalità reticolare che abbiamo conferito al nostro lavoro comune. La nostra unità ha arricchito le nostre differenze; le nostre differenze sono la garanzia dell'efficacia della nostra unità. Crediamo in questo principio e lo proponiamo a tutti quelli e quelle che in questi mesi si sono uniti al nostro percorso, convinti e convinte di poter compiere ancora molta strada assieme. La costruzione di un mondo diverso è esercizio faticoso e paziente. Noi abbiamo appena cominciato.
Bologna, 2 marzo 2002