GENOVA, 20 LUGLIO 2001 - 20 GENNAIO 2002
A sei mesi dall'assassinio di Carlo Giuliani, migliaia di persone tornano a Genova per chiedere verità e giustizia

Gli articoli di questa pagina sono tratti da "La Repubblica" del 21.01.2002


IL RITORNO DEI NO GLOBAL 
 
Genova ricorda Carlo Giuliani
"Fare chiarezza sulla sua morte"


Sei mesi fa l'uccisione del giovane durante il G8 

GENOVA - Sfila lento, tranquillo, quasi sommesso, il lungo corteo che ricorda Carlo Giuliani. Sfila in via XX settembre, dove a luglio trionfavano grate e battaglioni a cavallo, si ferma davanti a Palazzo Ducale, il palazzo degli Otto Grandi.
Sono in diecimila, senza sigle, qualche bandiera rossa, un grande striscione firmato "Gli amici": «Credete di averlo ammazzato, ma Carletto vive attraverso noi». E mille volantini con il volto da bambino di Carlo Giuliani: «Ho 23 anni, sei mesi fa lo stato mi ha ucciso». Sei mesi esatti, in quella piazza Alimonda trasformata da allora in un sacrario e da cui parte, intorno alle 16, la manifestazione. I leader del movimento ci sono tutti: Vittorio Agnoletto, Luca Casarini, Piero Bernocchi, Francesco Caruso, con Fausto Bertinotti. Nessuno però si impossessa delle prime file. I vecchi amici di Carlo lo hanno chiesto espressamente: niente cappelli, niente protagonismi.
La parola d'ordine è semplice, quasi ingenua: accompagnare Carlo da quello spiazzo d'asfalto in cui ha trovato la morte al palazzo dei potenti, dove avrebbe voluto arrivare. Senza alcuna tentazione di riaprire lo scontro.
Ma dopo il G8 Genova ha ancora paura. E quando, nella notte, decine di cassonetti dell'immondizia vengono rimossi dalla zona della Foce, teatro degli incidenti più violenti, più di un brivido percorre la gente. Anche perché, un paio di giorni prima, aveva pensato il nuovo questore, Oscar Fioriolli, a lanciare l'allarme: nessun problema per il corteo autorizzato, ma attenzione alle infiltrazioni di gruppi estremisti. E gli stessi organizzatori avevano deciso di dotarsi di un robusto servizio d'ordine. Alla fine l'unico momento di tensione rimarrà la divagazione a margine del percorso da parte di un gruppo di giovani di un centro sociale genovese, conclusa grazie alla mediazione di Giuliani Giuliani. «Quando c'è la volontà di tutti di comportarsi correttamente, le manifestazioni si svolgono pacificamente» commenterà il questore.
Il grosso scorrerà via, sotto gli occhi di pochi poliziotti e di ancor meno carabinieri, sempre in posizione defilata, tra le vetrine del centro illuminate come in un qualsiasi giorno di shopping e neppure sfiorate dai manifestanti. Ignorate, come quelle dei due Mc Donald's che neppure interrompono il lavoro. Non è giorno di slogan, i gruppi sembrano volutamente dissolversi nel magma silenzioso. L'unico grido, ripetuto, rimane quell' «assassini» che accompagna ogni incrocio con una divisa.
Il servizio d'ordine vigila, ma si limita a un paio di cordoni, con buffetti affettuosi a chi si avvicina troppo alle forze dell'ordine. Il resto è poco più un brusio, che lascia spazio alle canzoni di Fabrizio De Andrè, alla banda che intona l'Internazionale, ai pugni alzati che accompagnano "Bella Ciao".
Basta meno di un'ora, pur al rallentatore, per percorrere l'unico grande rettilineo in cui procede il corteo. In piazza De Ferrari si attende in silenzio che scocchino le 17 e 27. E' l'ora esatta in cui è partito il colpo di pistola che ha ucciso Carlo.
Poi un interminabile applauso, quasi ritmato. La vicina Piazza Matteotti, proprio davanti all'ingresso principale di palazzo Ducale, preferita per motivi di sicurezza, non basta per ospitare tutti. Aprono i compagni di strada di Carlo, con le loro poesie, poi sale sul palco un ex professore di Carlo Giuliani, fino a Andrea Ranieri, sindacalista e due sacerdoti, don Piero Tubino, storica anima della Caritas genovese e don Andrea Gallo.
Amici, solo loro: anche stavolta per i leader non c'è posto. E poi i genitori. Prima il padre, che chiede un minuto di raccoglimento perché a riempire la piazza sia solo «Il rumore assordante del nostro silenzio», poi la madre, Heidi, che, con un sorriso, si rallegra per avere visto in corteo anche i volti di chi, a luglio, per le strade non c'era. «La prossima volta dovremo essere ancora un po' di più. Le persone oneste e democratiche sono sempre ben accette». Tocca alla musica. La prossima volta è già fissata: tra sei mesi, ancora qui. 
 

 
GENOVA - Dalle 10 mila alle 20 mila persone hanno ricordato a Genova i sei mesi dalla morte di Carlo Giuliani. Un corteo misto di rabbia e dolore ha attraversato le vie della città ed ha portato i manifestanti al palazzo Ducale la meta irraggiungibile del luglio scorso. Si temevano infiltrazioni di "anarchici insurrezionalisti" ed invece tutto si è svolto in grande compostezza. 
Il corteo è partito pochi minuti prima delle 16, aperto da un grande striscione con la scritta rossa in campo bianco: "Pensate di averlo ammazzato ma Carletto vive attraverso noi", firmato "Gli amici" e srotolato in una piazza avvolta nel silenzio. Una banda ("Gli ottoni a scoppio") ha intonato le note dell'Internazionale, accompagnata da migliaia di pugni levati verso il cielo e da un coro. La folla di partecipanti si è divisa in due: la testa ed una buona parte del corteo è partita, mentre in piazza Alimonda sono rimaste molte persone per ascoltare le note della banda improvvisata. Lo slogan più scandito è: "Carlo è vivo e lotta insieme a noi. Le nostre idee non moriranno mai".
In corso Buenos Aires, la via in cui cominciarono il 20 luglio scorso le prime incursioni dei Black Bloc, il corteo di oggi, assolutamente pacifico, si è fermato. La banda degli "Ottoni a scoppio" ha suonato "Bella ciao" mentre molti degli abitanti dei palazzi si sono affacciati a salutare i manifestanti.
Davanti al McDonald's di via XX Settembre, la via del passeggio di Genova, Giuliano Giuliani, padre di Carlo, si è fermato davanti al cordone di polizia che protegge il fast food invitando i manifestanti a tirare dritto. Giuliani, con gesti della mano, ha fatto più volte cenno ai giovani di non indirizzare insulti alla polizia. Più avanti, sempre in via XX Settembre, il servizio d'ordine di Rifondazione Comunista e dei Cobas si è schierato tra la polizia e i manifestanti. All'indirizzo delle forze dell'ordine sono stati lanciate grida di "assassini" e "andate a lavorare".
Alle 17.27, l'ora in cui sei mesi fa morì Carlo, la folla in piazza De Ferraris si è raccolta in silenzio intorno al padre, Giuliano. Qualche lacrima, qualche pugno alzato, e poi su tutto un lunghissimo applauso. Subito dopo in sordina è stata intonata "Bella ciao": un canto al quale si è aggiunta tutta l'affollatissima piazza.
Prima dell'inizio, il padre di Carlo Giuliani aveva ricordato una frase di Lucio Magris, per spiegare il senso della manifestazione di oggi organizzata dal comitato Piazza Carlo Giuliani: "La memoria non è vendetta - ha detto Giuliani - né rancore, ma custodia di libertà e di verità".
La dinamica che portò alla morte del giovane manifestante non è ancora stata chiarita. Nuovi elementi portati dalla famiglia Giuliani hanno messo in discussione la prima ricostruzione ufficiale. "E' ormai evidente che la tesi della legittima difesa non è sostenibile", dice Vittorio Agnoletto. "Quell'uccisione è stata voluta e premeditata", afferma Luca Casarini.
Anche la Margherita chiede chiarezza. "I dubbi sono troppi per andare verso una sentenza definitiva", sostiene il deputato Ermete Realacci. E Don Vitaliano della Sala, il parroco avellinese che oggi ha celebrato una messa per Carlo Giuliani, dice: "Dopo sei mesi restano le verità troppo semplici che sono state diffuse, i tentativi di cancellare la verità, gli insulti alla memoria di Carlo".



La marcia degli amici
"Insieme senza violenze" 
 
Giuliano Giuliani su e giù per il corteo a sedare attriti e placare gli animi 
 
GENOVA - Succede la prima volta all'imbocco di via XX settembre. Lì all'angolo ci sono le vetrine di McDonald's. C'è un plotone di poliziotti schierati, e ci sono diecimila persone in corteo che sfilano. Giuliano Giuliani si mette in mezzo, fra le forze dell'ordine che sei mesi fa gli hanno ammazzato un figlio e quelli che sono venuti a ricordare Carlo. Con dolore, e con rabbia. C'è chi grida, a questo primo contatto con la polizia. «Assassini, assassini!». Giuliani (giacca, camicia e cravatta, occhiali spessi e sciarpa rossa) comincia a dire «no, no». Fa il gesto di calmarsi, con le due mani oscillate a a palmo in giù, per sopire quella rabbia gridata, e il pericolo che questa straordinaria giornata ridiventi un dramma come quel venerdì di sei mesi fa. E' lui il servizio d'ordine. Il vecchio sindacalista pacato, il padre ferito.
Che scena da ricordare. Quando qualcuno di quei ragazzi grida più forte, lui scende dal marciapiedi e si infila nel corteo. «Per favore, no. Sono io che te lo chiedo». Ce n'è uno, stessa età di Carlo, stessi vestiti e tatuaggi, che ai poliziotti dice «rumente», spazzatura, prima piano e poi gridando. Giuliani lo abbraccia: «No, non così, non oggi». Il ragazzo balbetta, «...ma io...». Ha gli occhi rossi, quasi scoppia a piangere. Giuliani torna sul marciapiedi, a presidiare i poliziotti, a reprimere coi suoi «per favore» la rabbia che ribolle. Alla fine vince lui, se questa fosse una scommessa. Ha perso solo sulla previsione di quanti sarebbero stati: «Pagherò delle cene. Non avrei creduto di vedere tutta questa gente, queste persone oneste». Ha vinto contro i timori, alimentati da qualche pigro allarmismo, che anche oggi comparissero i famigerati Black Bloc.
Ma non è stato facile, per Giuliano Giuliani e per gli amici di Carlo che hanno organizzato questa cosa, tenere insieme tutto. La rabbia dei ragazzi che urlano «assassini», il silenzio degli anziani compagni e amici di famiglia, le famigliole con bambini in carrozzina, i preti e le vecchiette. S'era detto: ci sarà un servizio d'ordine di Rifondazione e dei camalli del porto. Non s'è visto niente di organizzato. Forse non ce n'era bisogno. Ma poi succede che i ragazzi del centro sociale Zapata si schierano anche loro, a metà di via Venti davanti a una sede di Alleanza nazionale. Spalle al cordone di polizia, per controllare che nessuno dal corteo lanci un sasso, o faccia comunque succedere il patatrac. «Non accettate provocazioni, di fascisti e polizia - urlava uno nel megafono - Pensate che avete preso Carletto per mano, per portarlo là dove non l'hanno fatto arrivare».
Lassù a piazza De Ferrari e a Palazzo Ducale, in quel cuore blindato di Genova che a luglio ospitava gli otto grandi. Oggi, sei mesi e un morto più tardi, Genova sembra una città normale. Se qualcuno se ne ricorda ancora, oltre ai diecimila che sono in corteo, è qui che successe tutto quanto. Per quelli che sono qui, e per altre centinaia di migliaia, è da allora «che niente è più come prima». Le Torri di New York e la guerra sono venute dopo, quando la ferita già sanguinava, e l'hanno seminascosta. Sanguina ancora, nonostante tutto. Giuliano Giuliani, che la morte da allora ce l'ha in casa, prova a far sì che non succeda di nuovo. La moglie Haidi e la figlia Elena sono là davanti, in testa al corteo. Lui si ferma e si mette in mezzo.
Oggi stringe migliaia di mani, riceve migliaia di abbracci, migliaia di baci gli si stampano nella barba. Lui cava di tasca un foglietto, compone il numero sul cellulare. Chiama il capo della Digos: «Dottor Gonan, sono Giuliani. Il corteo è entrato tutto in via Venti. Tutto tranquillo». Riattacca: «Pare ci sia qualche problema più su, in via San Vincenzo, con i ragazzi del centro sociale InMensa». Scarpina in salita, rimontando il corteo. Va lui a mediare, oltre i cordoni di polizia, con la trentina di anarchici che avevano distribuito un volantino bellicoso, dove erano tutti insieme, da Berlusconi fino ad Agnoletto. Ottiene che la polizia li lasci passare, e che si accodino quando il corteo è passato. «Uffa, ce ne vuole di pazienza. Ma poi, che ognuno si regoli come vuole».
Tutti insieme, diversi ma insieme. E' questa l'ossessione di Giuliani, il segno della sua vita anche adesso che gli hanno ammazzato un figlio. E lo ripete anche in piazza Matteotti, dal palco, alla fine di questa giornata. La piazza è un mare di teste, è piena anche piazza De Ferrari. Giuliano e Haidi Giuliani parlano per ultimi. Prima di loro, nessun politico e nessun dirigente del movimento. Vittorio Agnoletto, Luca Casarini, Francesco Caruso, lo stesso Bertinotti: tutti dentro al corteo, mescolati alla gente per non prevaricare la famiglia, e poi zitti in piazza ad ascoltare. Parlano gli amici, un poeta, uno scrittore, un insegnante di Carlo, un amico di Giuliano, due preti: il vecchio e combattivo don Andrea Gallo, e monsignor Piero Tubino della Caritas.
Don Gallo è una forza della natura. Maglione nero e collarino, feltro nero in testa, mezzo toscano spento in mano. Saluta con pugno chiuso. Urla: «E' vero che siamo in tanti, che Carlo è con noi. Guarda che casino di gente, siamo tanti, tanti, tanti! Vorrei abbracciarvi tutti !». Ha uno stile da rockstar, altro che vecchio prete. «Vuoi parlare, mi hanno chiesto. No, voglio urlare! Dovevo esserci anch'io, lì con Carlo in piazza Alimonda, e non c'ero. Chi voleva manifestare per i diritti di tutti ha avuto in cambio violenza, squadrismo di Stato, torture agli arrestati». Finisce con «hasta la victoria siempre !». Monsignor Tubino, un anziano signore pacato, è perfino più duro: «A luglio centinaia di migliaia di persone volevano alzare la voce contro l'ingiustizia, la povertà, la fame. Se vuoi far sapere queste cose, non sei un sovversivo. Dopo che un uomo è morto sulla croce, è stato evidente che perché si sapesse qualcuno doveva pagare. E Carlo ha pagato per questo».
La Chiesa oggi c'è, qui a ricordare Carlo. «Pensavamo di ricevere qualche aiuto - dice un ragazzo dal palco - Vediamo solo realtà che stanno fuori dal Parlamento. Pensavamo che al Comune sembrasse giusto ricordare Carlo, ma è scomodo in periodo elettorale». Ma gli altri, dice Giuliano Giuliani, oggi sono qui tutti insieme. «Grazie a Carlo, siamo riusciti a fare questa operazione straordinaria, a fare in modo che persone libere e oneste si trovassero. Prevale la necessità di stare insieme e di superare le divisioni. La cosa più importante è la memoria, che non è vendetta né rancore. Continueremo a chiedere verità e giustizia per Carlo». Chiede ora il silenzio: «L'assordante rumore del silenzio, per colpire più forte i timpani di chi non vuol sentire». Gli danno retta anche stavolta, e su piazza Matteotti scende un silenzio lungo qualche minuto, assordante davvero.
 



Contro le menzogne di Stato, la ricostruzione dell'assassinio all'indirizzo:
http://digilander.iol.it/lavvelenata/g8/carlo.html



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