PER RICORDARE RACHEL CORRIE
Rachel Corrie, 23 anni, attivista statunitense impegnata in azioni di interposizione con l'International Solidarity Movement, è stata uccisa il 16 marzo 2003 da un bulldozer militare israeliano durante l'ennesima demolizione di case palestinesi (centinaia le case abbattute dall'inizio della seconda Intifada, oltre diecimila negli ultimi 35 anni) a Rafah, al confine tra Gaza ed Egitto. Rachel è rimasta schiacciata dal mezzo mentre tentava di bloccare l'abbattimento di una casa. «Eravamo decisi a fermare la demolizione - ha raccontato Greg Schnebel, uno degli otto giovani dell'Ism che da molte settimane presidiano i campi profughi di Rafah per tentare di bloccare la distruzione di altre abitazioni palestinesi - A un certo punto Rachel è rimasta isolata, accanto alla casa. Ha urlato al conducente di fermarsi ma la ruspa ha continuato ad avanzare fino a travolgerla».
Insieme a Rachel sono caduti e continuano a cadere, schiacciati nelle loro case, migliaia di palestinesi, molti dei quali bambini. Di molti di loro non si ricorderanno i nomi né i volti.
In questa pagina trovate le email scritte da Rachel alla sua famiglia (che ne ha concesso la pubblicazione) durante le settimane trascorse in Palestina. L'ultima lettera porta la data del 28 febbraio 2003, sedici giorni prima che Rachel fosse assassinata dai bulldozer di Sharon.
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Rachel Corrie all'opera insieme agli altri volontari dell'International Solidarity Movement. La foto di destra, scattata il 16 marzo 2003, mostra Rachel affrontare con l'unica arma del proprio corpo una delle ruspe con cui l'esercito israeliano abbatte le case palestinesi: è il mezzo che pochi secondi dopo, incurante della sua presenza e delle urla degli altri pacifisti che scongiuravano il guidatore di fermarsi, avanzerà fino a schiacciarla ed ucciderla sotto i propri cingoli.
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LE SUE COMPAGNE: noi, volontarie per la pace
Il 16 marzo 2003 Rachel Corrie, attivista dell'International Solidarity Movement, è stata uccisa da un bulldozer dell'esercito israeliano mentre a Gaza stava cercando di impedire la demolizione di una casa di una famiglia palestinese. Noi donne dell'IWPS (International Womens' Peace Service) siamo attiviste internazionali che, come Rachel, lavorano nella Cisgiordania e Gaza. Abbiamo vissuto ore di shock e sentiamo profonda rabbia per la morte della nostra compagna. Siamo orgogliose di aver avuto un'attivista come lei fra di noi e sappiamo che Rachel era orgogliosa di lavorare e vivere insieme con la gente di Rafah per la pace. Rachel ha lottato ed è morta per una solidarietà attiva e concreta. Con le sue idee e le sue azioni ha dimostrato che la lotta del popolo palestinese è una lotta che riguarda tutti noi. Rachel ha lottato contro l'occupazione israeliana, contro le demolizioni delle case, gli arresti e le uccisioni quotidiane. La famiglia che quel giorno ha perso la casa aumenta soltanto di poco il numero delle più di 1500 persone che sono rimaste senza casa negli ultimi 18 mesi. Le demolizioni di case sono una pratica di punizione collettiva, vietata dalla Convenzione di Ginevra, che continua senza interruzione da 35 anni e ha portato alla distruzione di almeno 10.000 case. Oggi, si aggiunge ai conflitti in Medioriente anche la guerra contro il popolo iracheno - un altro popolo che da anni deve pagare perché l'Occidente possa mantenere il controllo sul Medioriente, un altro popolo che subisce in prima linea le guerre che dagli anni `70 sono diventate il mezzo preferito degli Usa per sanare la sua economia e per assecondare le mire espansionistiche di Israele. Intanto, qui continuano gli arresti e le uccisioni di coloro che si oppongono all'occupazione. Inoltre, in questi giorni gli Stati uniti hanno promesso a Israele milioni di dollari, e mentre Bush, Sharon e Blair stanno preparando un nuovo piano di «pace», Sharon ha annunciato la seconda fase della costruzione del muro che ridurrà la Cisgiordania a veri e propri bantustans e che annetterà di fatto a Israele gran parte della Cisgiordania. Noi continueremo ad opporci a tutto ciò proprio perché il governo israeliano, anche attraverso l'uccisione di Rachel, ha chiaramente dimostrato di aver paura di un movimento internazionale di solidarietà che sta crescendo sempre di più in tutti i paesi del mondo e che, con la sua presenza in Palestina, vuole osservare, raccontare e globalizzare la resistenza contro l'occupazione. Per questa ragione, noi donne dell'IWPS invitiamo tutti/e gli/le attivisti/e e le organizzazioni che hanno a cuore il rispetto dei diritti umani, a venire in Palestina e a contribuire alla lotta per la libertà e la terra dei palestinesi. E' piu' urgente e piu' importante che mai.
Potete contattarci a iwps@palnet.com o visitare il nostro sito www.womenspeacepalestine.org. In Palestina potete anche contattare l'International Solidarity Movement-ISM attraverso il sito www.palsolidarity.org.
LE SUE LETTERE
Le lettere di Rachel Corrie sono state rese pubbliche dalla sua famiglia e dai suoi amici subito dopo la morte della ragazza. Circolano su internet, sui vari siti pacifisti e del movimento. Viaggiano in un tam tam elettronico. In Italia sono state pubblicate nella loro versione integrale da "il manifesto" del 31 marzo 2003, con traduzione dall'inglese a cura di Miguel Martinez, Lucia De Rocco, Silvia Lanfranchini, Nora Tigges Mazzone, Andrea Spila, dei Traduttori per la Pace .
7 FEBBRAIO 2003
(Lettera agli amici e alla famiglia)
Ciao amici e famiglia e tutti gli altri. Sono in Palestina da due settimane e un'ora e non ho ancora parole per descrivere ciò che vedo. È difficilissimo per me pensare a cosa sta succedendo qui quando mi siedo per scrivere alle persone care negli Stati uniti. È come aprire una porta virtuale verso il lusso. Non so se molti bambini qui abbiano mai vissuto senza i buchi dei proiettili dei carri armati sui muri delle case e le torri di un esercito che occupa la città che li sorveglia costantemente da vicino.
Penso, sebbene non ne sia del tutto sicura, che anche il più piccolo di questi bambini capisca che la vita non è così in ogni angolo del mondo. Un bambino di otto anni è stato colpito e ucciso da un carro armato israeliano due giorni prima che arrivassi qui e molti bambini mi sussurrano il suo nome - Alì - o indicano i manifesti che lo ritraggono sui muri. I bambini amano anche farmi esercitare le poche conoscenze che ho di arabo chiedendomi «Kaif Sharon?», «Kaif Bush?», e ridono quando dico, «Bush Majnoon», «Sharon Majnoon» nel poco arabo che conosco (Come sta Sharon? Come sta Bush? Bush è pazzo. Sharon è pazzo). Certo, questo non è esattamente quello che credo e alcuni degli adulti che sanno l'inglese mi correggono: «Bush mish Majnoon» ... Bush è un uomo d'affari. Oggi ho tentato di imparare a dire «Bush è uno strumento» (Bush is a tool), ma non penso che si traduca facilmente.
In ogni caso qui si trovano dei ragazzi di otto anni molto più consapevoli del funzionamento della struttura globale del potere di quanto lo fossi io solo pochi anni fa. Tuttavia, nessuna lettura, conferenza, documentario o passaparola avrebbe potuto prepararmi alla realtà della situazione che ho trovato qui. Non si può immaginare a meno di vederlo, e anche allora si è sempre più consapevoli che l'esperienza stessa non corrisponde affatto alla realtà: pensate alle difficoltà che dovrebbe affrontare l'esercito israeliano se sparasse a un cittadino statunitense disarmato, o al fatto che io ho il denaro per acquistare l'acqua mentre l'esercito distrugge i pozzi e naturalmente al fatto che io posso scegliere di andarmene. Nessuno nella mia famiglia è stato colpito, mentre andava in macchina, da un missile sparato da una torre alla fine di una delle strade principali della mia città. Io ho una casa. Posso andare a vedere l'oceano. Quando vado a scuola o al lavoro posso essere relativamente certa che non ci sarà un soldato, pesantemente armato, che aspetta a metà strada tra Mud Bay e il centro di Olympia a un checkpoint, con il potere di decidere se posso andarmene per i fatti miei e se posso tornare a casa quando ho finito.
Dopo tutto questo peregrinare, mi trovo a Rafah: una città di circa 140.000 persone, il 60% di questi sono profughi, molti di loro due o tre volte profughi. Oggi, mentre camminavo sulle macerie, dove una volta sorgevano delle case, alcuni soldati egiziani mi hanno rivoltola parola dall'altro lato del confine. «Vai! Vai!» mi hanno gridato, perché si avvicinava un carro armato. E poi mi hanno salutata e mi hanno chiesto «come ti chiami?». C'è qualcosa di preoccupante in questa curiosità amichevole. Mi ha fatto venire in mente in che misura noi, in qualche modo, siamo tutti bambini curiosi di altri bambini. Bambini egiziani che urlano a donne straniere che si avventurano sul percorso dei carri armati. Bambini palestinesi colpiti dai carri armati quando si sporgono dai muri per vedere cosa sta accadendo. Bambini di tutte le nazioni che stanno in piedi davanti ai carri armati con degli striscioni. Bambini israeliani che stanno in modo anonimo sui carri armati, di tanto in tanto urlano e a volte salutano con la mano, molti di loro costretti a stare qui, molti semplicemente aggressivi, sparano sulle case mentre noi ci allontaniamo.
Ho avuto difficoltà a trovare informazioni sul resto del mondo qui, ma sento dire che un'escalation nella guerra contro l'Iraq è inevitabile. Qui sono molto preoccupati della «rioccupazione di Gaza». Gaza viene rioccupata ogni giorno in vari modi ma credo che la paura sia quella che i carri armati entrino in tutte le strade e rimangano qui invece di entrare in alcune delle strade e ritirarsi dopo alcune ore o dopo qualche giorno a osservare e sparare dai confini delle comunità. Se la gente non sta già pensando alle conseguenze di questa guerra per i popoli dell'intera regione, spero che almeno lo iniziate a fare voi. Un saluto a tutti. Un saluto alla mia mamma. Un saluto a smooch. Un saluto a fg e a barnhair e a sesamees e alla Lincoln School. Un saluto a Olympia.
Rachel
20 FEBBRAIO 2003
(Lettera alla madre)
Mamma, adesso l'esercito israeliano è arrivato al punto di distruggere con le ruspe la strada per Gaza, ed entrambi i checkpoint principali sono chiusi. Significa che se un palestinese vuole andare ad iscriversi all'università per il prossimo quadrimestre non può farlo. La gente non può andare al lavoro, mentre chi è rimasto intrappolato dall'altra parte non può tornare a casa; e gli internazionali, che domani dovrebbero essere a una riunione delle loro organizzazioni in Cisgiordania, non potranno arrivarci in tempo. Probabilmente ce la faremmo a passare sefacessimo davvero pesare il nostro privilegio di internazionali dalla pelle bianca, ma correremmo comunque un certo rischio di essere arrestati e deportati, anche se nessuno di noi ha fatto niente di illegale.
La striscia di Gaza è ora divisa in tre parti. C'è chi parla della «rioccupazione di Gaza», ma dubito seriamente che stia per succedere questo, perché sarebbe una mossa geopoliticamente stupida da parte di Israele. Credo che dobbiamo aspettarci piuttosto un aumento delle piccole incursioni al di sotto del livello di attenzione dell'opinione pubblica internazionale, e forse il paventato «trasferimento di popolazione». Per il momento non mi muovo da Rafah. Mi sento ancora relativamente al sicuro e nell'eventualità di un'incursione più massiccia credo che, per quanto mi riguarda, il rischio più probabile sia l'arresto. Un'azione militare per rioccupare Gaza scatenerebbe una reazione molto più forte di quanto non facciano le strategie di Sharon basate sugli omicidi che interrompono i negoziati di pace e sull'arraffamento delle terre, strategie che al momento stanno servendo benissimo allo scopo di fondare colonie dappertutto, eliminando lentamente ogni vera possibilità di autoderminazione palestinese.
Sappi che un mucchio di palestinesi molto simpatici si sta prendendo cura di me. Mi sono presa una lieve influenza e per curarmi mi hanno dato dei beveroni al limone buonissimi. E poi la signora che ha le chiavi del pozzo dove ancora dormiamo mi chiede continuamente di te. Non sa una parola d'inglese ma riesce a chiedermi molto spesso della mia mamma - vuole essere sicura che ti chiami. Un abbraccio a te, a papà, a Sara, a Chris e a tutti.
Rachel
27 FEBBRAIO 2003
(Lettera alla madre)
Vi voglio bene. Mi mancate davvero. Ho degli incubi terribili, sogno i carri armati e i bulldozer fuori dalla nostra casa, con me e voi dentro. A volte, l'adrenalina funge da anestetico per settimane di seguito, poi improvvisamente la sera o la notte la cosa mi colpisce di nuovo: un po' della realtà della situazione. Ho proprio paura per la gente qui. Ieri ho visto un padre che portava fuori i suoi bambini piccoli, tenendoli per mano, alla vista dei carri armati e di una torre di cecchini e di bulldozer e di jeep, perché pensava che stessero per fargli saltare in aria la casa. In realtà, l'esercito israeliano in quel momento faceva detonare un esplosivo nel terreno vicino, un esplosivo piantato, a quanto pare, dalla resistenza palestinese.
Questo è nella stessa zona in cui circa 150 uomini furono rastrellati la scorsa domenica e confinati fuori dall'insediamento mentre si sparava sopra le loro teste e attorno a loro, e mentre i carri armati e i bulldozer distruggevano 25 serre, che davano da vivere a 300 persone. L'esplosivo era proprio davanti alle serre, proprio nel punto in cui i carri armati sarebbero entrati, se fossero ritornati. Mi spaventava pensare che per quest'uomo, era meno rischioso camminare in piena vista dei carri armati che restare in casa. Avevo proprio paura che li avrebbero fucilati tutti, e ho cercato di mettermi in mezzo, tra loro e il carro armato. Questo succede tutti i giorni, ma proprio questo papà con i suoi due bambini così tristi, proprio lui ha colto la mia attenzione in quel particolare momento, forse perché pensavo che si fosse allontanato a causa dei nostri problemi di traduzione.
Ho pensato tanto a quello che mi avete detto per telefono, di come la violenza dei palestinesi non migliora la situazione. Due anni fa, sessantamila operai di Rafah lavoravano in Israele. Oggi, appena 600 possono entrare in Israele per motivi di lavoro. Di questi 600, molti hanno cambiato casa, perché i tre checkpoint che ci sono tra qui e Ashkelon (la città israeliana più vicina) hanno trasformato quello che una volta era un viaggio di 40 minuti in macchina in un viaggio di almeno 12 ore, quando non impossibile. Inoltre, quelle che nel 1999 erano le potenziali fonti di crescita economica per Rafah sono oggi completamente distrutte: l'aeroporto internazionale di Gaza (le piste demolite, tutto chiuso); il confine per il commercio con l'Egitto (oggi con una gigantesca torre per cecchini israeliani al centro del punto di attraversamento); l'accesso al mare (tagliato completamento durante gli ultimi due anni da un checkpoint e dalla colonia di Gush Katif).
Dall'inizio di questa intifada, sono state distrutte circa 600 case a Rafah, in gran parte di persone che non avevano alcun rapporto con la resistenza, ma vivevano lungo il confine. Credo che Rafah oggi sia ufficialmente il posto più povero del mondo. Esisteva una classe media qui, una volta. Ci dicono anche che le spedizioni dei fiori da Gaza verso l'Europa venivano, a volte, ritardate per due settimane al valico di Erez per ispezioni di sicurezza. Potete immaginarvi quale fosse il valore di fiori tagliati due settimane prima sul mercato europeo, quindi il mercato si è chiuso. E poi sono arrivati i bulldozer, che distruggono gli orti e i giardini della gente. Cosa rimane per la gente da fare? Ditemi se riuscite a pensare a qualcosa. Io non ci riesco. Se la vita e il benessere di qualcuno di noi fossero completamente soffocati, se vivessimo con i nostri bambini in un posto che ogni giorno diventa più piccolo, sapendo, grazie alle nostre esperienze passate, che i soldati e i carri armati e i bulldozer ci possono attaccare in qualunque momento e distruggere tutte le serre che abbiamo coltivato da tanto tempo, e tutto questo mentre alcuni di noi vengono picchiati e tenuti prigionieri per ore: non pensate che forse cercheremmo di usare dei mezzi un po' violenti per proteggere i frammenti che ci restano? Ci penso soprattutto quando vedo distruggere gli orti e le serre e gli alberi da frutta: anni di cure e di coltivazione. Penso a voi, e a quanto tempo ci vuole per far crescere le cose e quanta fatica e quanto amore ci vuole. Penso che in una simile situazione, la maggior parte della gente cercherebbe di difendersi come può. Penso che lo farebbe lo zio Craig. Probabilmente la nonna la farebbe. E penso che lo farei anch'io.
Mi avete chiesto della resistenza non violenta. Quando l'esplosivo è saltato ieri, ha rotto tutte le finestre nella casa della famiglia. Mi stavano servendo del tè, mentre giocavo con i bambini. Adesso è un brutto momento per me. Mi viene la nausea a essere trattata sempre con tanta dolcezza da persone che vanno incontro alla catastrofe. So che visto dagli Stati uniti, tutto questo sembra iperbole. Sinceramente, la grande gentilezza della gente qui, assieme ai tremendi segni di deliberata distruzione delle loro vite, mi fa sembrare tutto così irreale. Non riesco a credere che qualcosa di questo genere possa succedere nel mondo senza che ci siano più proteste. Mi colpisce davvero, di nuovo, come già mi era successo in passato, vedere come possiamo far diventare così orribile questo mondo. Dopo aver parlato con voi, mi sembrava che forse non riuscivate a credere completamente a quello che vi dicevo. Penso che sia meglio così, perché credo soprattutto all'importanza del pensiero critico e indipendente. E mi rendo anche conto che, quando parlo con voi, tendo a controllare le fonti di tutte le mie affermazioni in maniera molto meno precisa. In gran parte questo è perché so che fate anche le vostre ricerche. Ma sono preoccupata per il lavoro che svolgo. Tutta la situazione che ho descritto, assieme a tante altre cose, costituisce un'eliminazione, a volte graduale, spesso mascherata, ma comunque massiccia, e una distruzione, delle possibilità di sopravvivenza di un particolare gruppo di persone.
Ecco quello che vedo qui. Gli assassini, gli attacchi con i razzi e le fucilazioni dei bambini sono atrocità, ma ho tanta paura che se mi concentro su questi, finirò per perdere il contesto. La grande maggioranza della gente qui, anche se avesse i mezzi per fuggire altrove, anche se veramente volesse smetterla di resistere sulla sua terra e andarsene semplicemente (e questo sembra essere uno degli obiettivi meno nefandi di Sharon), non può andarsene. Perché non possono entrare in Israele per chiedere un visto e perché i paesi di destinazione non li farebbero entrare: parlo sia del nostro paese che di quelli arabi. Quindi penso che quando la gente viene rinchiusa in un ovile - Gaza - da cui non può uscire, e viene privata di tutti i mezzi di sussistenza, ecco, questo credo che si possa qualificare come genocidio. Anche se potessero uscire, credo che si potrebbe sempre qualificare come genocidio. Forse potreste cercare una definizione di genocidio secondo il diritto internazionale. Non me la ricordo in questo momento. Spero di riuscire con il tempo a esprimere meglio questi concetti. Non mi piace usare questi termini così carichi. Credo che mi conoscete sotto questo punto di vista: io do veramente molto valore alle parole. Cerco davvero di illustrare le situazioni e di permettere alle persone di tirare le proprie conclusioni.
Comunque, mi sto perdendo in chiacchiere.Voglio solo scrivere alla mamma per dirle che sono testimone di questo genocidio cronico e insidioso, e che ho davvero paura, comincio a mettere in discussione la mia fede fondamentale nella bontà della natura umana. Bisogna che finisca. Credo che sia una buona idea per tutti noi, mollare tutto e dedicare le nostre vite affinché ciò finisca. Non penso più che sia una cosa da estremisti. Voglio davvero andare a ballare al suono di Pat Benatar e avere dei ragazzi e disegnare fumetti per quelli che lavorano con me. Ma voglio anche che questo finisca. Quello che provo è incredulità mista a orrore. Delusione. Sono delusa, mi rendo conto che questa è la realtà di base del nostro mondo e che noi ne siamo in realtà partecipi. Non era questo che avevo chiesto quando sono entrata in questo mondo. Non era questo che la gente qui chiedeva quando è entrata nel mondo. Non è questo il mondo in cui tu e papà avete voluto che io entrassi, quando avete deciso di farmi nascere. Non era questo che intendevo, quando guardavo il lago Capital e dicevo, «questo è il vasto mondo e sto arrivando!». Non intendevo dire che stavo arrivando in un mondo in cui potevo vivere una vita comoda, senza alcuno sforzo, vivendo nella completa incoscienza della mia partecipazione a un genocidio. Sento altre forti esplosioni fuori, lontane, da qualche parte. Quando tornerò dalla Palestina, probabilmente soffrirò di incubi e mi sentirò in colpa per il fatto di non essere qui, ma posso incanalare tutto questo in altro lavoro. Venire qui è stata una delle cose migliori che io abbia mai fatto. E quindi, se sembro impazzita, o se l'esercito israeliano dovesse porre fine alla sua tradizione razzista di non far male ai bianchi, attribuite il motivo semplicemente al fatto che io mi trovo in mezzo a un genocidio che io anch'io sostengo in maniera indiretta, e del quale il mio governo è in larga misura responsabile.
Voglio bene a te e a papà. Scusatemi il lungo papiro. Ok, uno sconosciuto vicino a me mi ha appena dato dei piselli, devo mangiarli e ringraziarli.
Rachel
28 FEBBRAIO 2003
(Lettera alla madre)
Grazie, mamma, per la tua risposta alla mia e-mail. Mi aiuta davvero ricevere le tue parole, e quelle di altri che mi vogliono bene. Dopo averti scritto ho perso i contatti con il mio gruppo per circa dieci ore: le ho passate in compagnia di una famiglia che vive in prima linea a Hi Salam. Mi hanno offerto la cena, e hanno pure la televisione via cavo. Nella loro casa le due stanze che danno sulla facciata sono inutilizzabili perché i muri sono crivellati da colpi di arma da fuoco, perciò tutta la famiglia - padre, madre e tre bambini - dorme nella stanza dei genitori. Io ho dormito sul pavimento, accanto a Iman, la bimba più piccola, e tutti eravamo sotto le stesse coperte. Ho aiutato un po' il figlio maschio con i compiti d'inglese e abbiamo guardato tutti insieme Pet Semetery, che è un film davvero terrificante. Penso che per loro sia stato un gran divertimento vedere come quasi non riuscivo a guardarlo.
Da queste parti il giorno festivo è venerdì, e quando mi sono svegliata stavano guardando i Gummy Bears doppiati in arabo. Così ho fatto colazione con loro, e sono rimasta un po' lì seduta così, a godermi la sensazione di stare in mezzo a quelgroviglio di coperte, insieme alla famiglia che guardava quello che a me faceva l'effetto dei cartoni della domenica mattina. Poi ho fatto un pezzo distrada a piedi fino a B'razil, che è dove vivono Nidal, Mansur, la Nonna, Rafat e tutto il resto della grande famiglia che mi ha letteralmente adottata a cuore aperto. (A proposito, l'altro giorno, la Nonnami ha fatto una predica mimata in arabo: era tutto un gran soffiare e additare lo scialle nero. Sono riuscita a farle dire da Nidal che mia madre sarebbe stata contentissima di sapere che qui c'è qualcuno che mi fa le prediche sul fumo che annerisce i polmoni). Ho conosciuto una loro cognata, che è venuta a trovarli dal campo profughi di Nusserat, e ho giocato con il suo bebè. L'inglese di Nidal migliora di giorno in giorno. È lui a chiamarmi «sorella». Ha anche cominciato ad insegnare alla Nonna a dire «Hello. How are you?» in inglese. Si sente costantemente il rumore dei carri armati e dei bulldozer che passano, eppure tutte queste persone riescono a mantenere un sincero buon umore, sia tra loro che nei rapporti con me. Quando sono in compagnia di amici palestinesi mi sento un po' meno orripilata di quando cerco di impersonareil ruolo di osservatrice sui diritti umani o di raccoglitrice di testimonianze, o di quando partecipo ad azioni di resistenza diretta. Danno un ottimo esempio del modo giusto di vivere in mezzo a tutto questo nel lungo periodo. So che la situazione in realtà li colpisce - e potrebbe alla fine schiacciarli - in un'infinità di modi, e tuttavia mi lascia stupefatta la forza che dimostrano riuscendo a difendere in così grande misura la loro umanità - le risate, la generosità, il tempo per la famiglia - contro l'incredibile orrore che irrompe nelle loro vite e contro la presenza costante della morte. Dopo stamattina mi sono sentita molto meglio. In passato ho scritto tanto sulla delusione di scoprire, in qualche misura direttamente, di quanta malignità siamo ancora capaci. Ma è giusto aggiungere, almeno di sfuggita, che sto anche scoprendo una forza straordinaria e una straordinaria capacità elementare dell'essere umano di mantenersi umano anche nelle circostanze più terribili- anche di questo non avevo mai fatto esperienza in modo così forte. Credo che la parola giusta sia dignità.
Come vorrei che tu potessi incontrare questa gente. Chissà, forse un giorno succederà, speriamo.
Rachel
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