UNA GUERRA ASSASSINA
"E' stata raggiunta la pace che noi abbiamo voluto"
(on. Massimo D'Alema, Presidente del Consiglio)
78 giorni di morte e distruzione
Un paese annientato, una terra devastata, un popolo alla fame
Bombardamenti a tappeto sulle popolazioni civili
Città, strade, fabbriche, scuole, ponti, ospedali in macerie
Una intera nazione disseminata di odio e violenza
Nubi tossiche nell'aria, proiettili all'uranio per mari e per terre
E hanno il coraggio di chiamarla "pace".
"Il destino del Kosovo è appeso ad un filo, non lasciamo che la situazione precipiti": questo era il testo dell'appello lanciato dalle organizzazioni impegnate in quella regione, al fianco della popolazione albanese, già a partire dal 1996, per chiedere un reale impegno per la pace nei Balcani e per denunciare una situazione che era sul punto di precipitare.
Ma, come al solito, nessuno aveva interesse a prevenire un conflitto: la guerra è un affare economico e politico troppo grande per perdere l'occasione di condurne una.
E allora, prima si innescano le polveriere (rifornendo di armi i vari dittatori sparsi per il pianeta), poi si lasciano progredire ben bene (ignorando ed affossando chiunque si adoperi per avvertire che c'è una situazione di potenziale conflitto che potrebbe essere affrontata e risolta per tempo), e alla fine, quando la crisi esplode ed è ormai sul punto di non ritorno, ci si scopre ferventi sostenitori dei diritti umani andando a difendere le povere vittime dei regimi a suon di bombe su villaggi e città, definendo "danni collaterali" tutte le stragi di civili che ne conseguono e spacciando per "errori" delle azioni di guerra deliberatamente assassine.
Infatti fino all'inizio del 1999 la risposta della comunità internazionale e del governo italiano a quell'appello per il Kosovo era: "non possiamo intervenire in una questione interna di uno stato sovrano, ed è irresponsabile alzare polveroni proprio ora che stiamo riprendendo fiorenti contatti economici con la Serbia di Milosevic, dopo gli anni dell'embargo". Coloro che per anni hanno ripetuto queste cose, ignorando la voce di chi denunciava il dramma dei profughi e chiedeva una azione di pace e di prevenzione, oggi hanno il coraggio di ergersi a paladini dei diritti umani, rivendicando il fatto di essere stati in prima linea in una guerra assassina che ha massacrato le popolazioni civili, distrutto una nazione, estremizzato e reso irreversibili le difficoltà di convivenza tra diverse etnie e innescato una catastrofe ambientale. Tutto, insomma, fuorché risolvere i problemi di quei popoli. Una guerra senza precedenti quanto a potenziale bellico utilizzato, condotta per oltre due mesi nel cuore del nostro continente. Il tutto con l'annientamento completo del ruolo dell'Onu e della tanto sbandierata Europa Unita. Complimenti, governo D'Alema. Complimenti, Italia.
Abbiamo il dovere di non dimenticare. E di ricordarci di quelle bombe sui civili tutte le volte che i responsabili torneranno a chiedere il nostro sostegno politico e il nostro voto.
In questa pagina di controinformazione (che continueremo ad aggiornare) proponiamo alcuni interventi e contributi utili a capire numeri e avvenimenti della guerra del Kosovo.
I CRIMINI DELLA NATO IN SERBIA E IN KOSOVO Roma, 7 giugno 2000 - Ufficio Stampa Amnesty International
"La NATO ha in più occasioni violato i principi umanitari da applicare in ogni conflitto armato": questo è, in sostanza, il messaggio contenuto in un rapporto che Amnesty International ha divulgato a un anno di distanza dalla fine dei bombardamenti della NATO sulla Repubblica Federale della Jugoslavia. "Il non aver rispettato le regole fondamentali sancite nelle convenzioni di Ginevra del 1949, ha causato la morte di numerosi civili", dichiara Amnesty International. Il rapporto, dal titolo "Danni collaterali" o uccisioni illegittime? contiene l'analisi dettagliata di eventi in cui le Forze Alleate del Patto Atlantico hanno agito senza tenere conto del diritto umanitario internazionale nel selezionare i bersagli e scegliere i modi con cui condurre gli attacchi. Tra le norme vi è la proibizione di qualsiasi attacco diretto contro persone o strutture civili, degli attacchi condotti in modo da non distinguere obiettivi civili da obiettivi militari, e di quegli attacchi che - seppur condotti contro obiettivi militari legittimi - comportano un impatto sproporzionato sui civili.
"L'attacco alla sede centrale della televisione e radio di stato serba, avvenuta il 23 aprile '99, è senza dubbio un crimine di guerra", è scritto nel rapporto. "Uno strumento di propaganda non può essere considerato un obiettivo militare". Amnesty International fa inoltre notare che tale attacco è stato sproporzionato, avendo causato la morte di sedici civili con l'unico risultato di interrompere le trasmissioni per poco più di tre ore.
Il rapporto è basato sulla raccolta di testimonianze e sull'analisi dettagliata dei pronunciamenti ufficiali della NATO nonché di vario materiale prodotto da altre associazioni non governative indipendenti. Particolarmente importante è stato anche l'incontro di una delegazione di Amnesty International con vertici della NATO avvenuto il 14 febbraio scorso.
Il numero dei civili morti durante le campagne di bombardamento aereo non è noto con esattezza. Le fonti della repubblica Federale Jugoslava non sono attendibili. Associazioni per i diritti umani e umanitarie stimano gli eventi in cui sono stati colpiti dei civili in circa novanta e i morti complessivi in circa cinquecento.
"Ma il punto non è confrontare il numero dei civili uccisi dalla NATO con quelli uccisi dalle altre fazioni, oppure con i civili uccisi in guerre precedenti", ha dichiarato Daniele Scaglione, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International, "il punto è che molte di queste persone sarebbero oggi ancora vive, se la NATO avesse rispettato le regole internazionali sui conflitti armati".
Tra i principi imposti dal diritto umanitario internazionale vi è quello secondo cui la sicurezza dei civili dovrebbe sempre essere posta come prioritaria, rispetto a quella dei militari. Ancora, le convenzioni di Ginevra sanciscono il dovere di sospendere un attacco ad un obiettivo militare, se si verifica la possibilità di colpire dei civili. Durante i bombardamenti in Kosovo e Serbia, le forze NATO hanno sistematicamente violato questi principi. In particolare, durante le prime azioni, per ridurre la possibilità di essere colpiti, gli aerei della NATO volavano ad altezze di circa 4.500 metri, dalle quali, per stessa ammissione dei responsabili NATO, è possibile distinguere un obiettivo militare da uno civile, ma non è possibile verificare se nei pressi di questo obiettivo vi siano dei civili.
In diversi attacchi, inclusi quelli al ponte di Grdelica del 12 aprile, al ponte di Lunane il 1 maggio, al ponte di Varvarin il 30 maggio, le forze NATO non hanno sospeso la propria azione, anche dopo essersi resi conto che avevano colpito dei civili. In altri casi, tra cui gli attacchi contro carovane di profughi a Djakovica il 14 Aprile e a Korisa il 13 maggio, le forze NATO hanno agito senza valutare preventivamente le proprie azioni.
La NATO e gli stati che ne fanno parte non si sono mai adoperati in modo adeguato per far luce sulle responsabilità nei vari eventi che hanno causato la morte di civili, eccezion fatta per il bombardamento dell'ambasciata cinese in Belgrado.
Il rapporto mette in luce anche alcuni problemi generali che riguardano la possibilità della NATO di agire coerentemente in difesa dei diritti umani. I paesi che fanno parte dell'Alleanza aderiscono in modo differente a diversi strumenti del diritto internazionale e gli stessi vertici della NATO non sono in grado di specificare quali siano le leggi di guerra che, invece, più volte hanno dichiarato di rispettare. Ancora, il meccanismo decisionale all'interno della NATO è piuttosto complesso e impedisce di risalire alle reali responsabilità per i singoli casi.
Alla luce di quanto evidenziato nel suo rapporto, Amnesty International, pur ricordando che è dovere di ogni stato aderente alla NATO di investigare seriamente sui crimini compiuti dalle proprie forze armate, ha accolto con preoccupazione le notizie di qualche giorno fa secondo le quali il tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia avrebbe deciso di non proseguire le indagini sulle violazioni del diritto umanitario che sarebbero state commesse dalle forze NATO.
BOMBE INTELLIGENTI? Le verità scomode di una guerra vissuta sulla propaganda mediatica
La prima a cadere in guerra è la verità, detto sacrosanto che non è mai stato smentito dai tempi delle guerre sumeriche a oggi. Anche nel caso della guerra del Kosovo sembra che di bugie se ne siano dette tante, una delle più clamorose è stata smentita proprio in questi giorni. Davvero la guerra in Kosovo è stata la prima guerra ipertecnologica, fatta di soli efficacissimi bombardamenti "chirurgici" a colpi di bombe a guida laser, così precise da provocare un numero relativamente scarso di vittime collaterali? A sentire le cifre ufficiali si direbbe di sí: dopo 78 giorni di pesanti bombardamenti il comando Nato affermò di aver distrutto circa la metà dei mezzi corazzati e di artiglieria delle forze serbe in Kosovo, cioè circa 120 carri armati, 220 mezzi per il trasporto truppe e ben 450 cannoni. Ma già al momento del ritiro dei serbi dalla provincia, la lunga sfilata di truppe e mezzi in buone condizioni aveva fatto sospettare che le cifre fornite dai militari occidentali non fossero state molto accurate. Dopo la guerra le forze armate Usa hanno inviato una missione sul posto per confermare la distruzione dei mezzi serbi. Dopo settimane di investigazioni il gruppo è ritornato a Washington con cifre così deprimenti e imbarazzanti che il suo rapporto non è mai stato divulgato. Ora la rivista "Newsweek" ne è entrata in possesso e l'ha pubblicato: ebbene dei 744 obiettivi militari mobili distrutti proclamati dalle forze aeree Nato, la commissione ha trovato le prove di solo 58 centri, tra cui 14 carri armati, 18 mezzi trasporto truppe e 20 cannoni. E il resto? Il resto, ha scoperto la commissione erano camion, trattori, automobili ed autobus civili e, soprattutto, un'infinità di finti tank, batterie antiaeree, autoblindo e cannoni costruiti con tronchi d'albero, vecchie ruote e compensato dalle truppe serbe. I piloti degli aerei occidentali, che volavano a 5000 metri di altezza e ad alta velocità per evitare il rischio di essere abbattuti, avevano una scarsissima possibilità di riconoscere correttamente e colpire mezzi mobili, per cui sembra che tirassero a casaccio su tutto quello che si muoveva sul terreno o sui finti bersagli preparati dai serbi. Più efficace è stato il bombardamento di strutture fisse, ma anche qui i serbi ne hanno costruite moltissime false, come un finto ponte stradale fatto di teli di plastica che è stato più volte distrutto dagli aerei Nato. Miliardi di dollari sprecati in bombe da 60 milioni l'una, per distruggere false strutture del valore di poche lire o, peggio ancora, fare vittime innocenti fra i passeggeri di mezzi civili. Ma se è così, perché allora i serbi hanno abbandonato il Kosovo? A questo punto l'opinione più diffusa è che non sia stata la distruzione delle loro forze armate in Kosovo, ma quello delle installazioni civili in Serbia, a obbligare Milosevic al ritiro prima che il crescente malcontento fra la popolazione provocato dalla mancanza di elettricità, acqua e trasporti, mettesse in pericolo la sua sopravvivenza politica.
Alessandro Saragosa, 16.05.2000 (dal sito web della rivista Le Scienze)
QUESTA NON E' LA NOSTRA PACE Una mozione parlamentare a un anno dalla guerra
Durante la guerra del Kosovo ben cento parlamentari si schierarono contro la guerra e la partecipazione italiana alla guerra. Un anno dopo è stata presentata in Senato una mozione che chiede l'impegno del governo italiano nella costruzione del processo di pace. Eccone il testo.
E' trascorso un anno dalla fine della guerra ma la situazione dei Balcani continua a essere pericolosamente confusa, la matassa del Kosovo non è stata sbrogliata, proseguono, senza incontrare sostanziali ostacoli, le violazioni dei diritti umani nell'area, seppur a parti rovesciate, e prosegue altrettanto tragicamente ed inutilmente la politica occidentale delle sanzioni nei confronti della Serbia. La guerra è stato un fatto drammatico che ha scosso profondamente le coscienze di chi come noi ha sempre ritenuto che debbano essere utilizzate solo vie pacifiche per la soluzione dei conflitti e che le guerre non possono mai essere umanitarie. La tutela dei diritti umani non può e non deve avvenire mai più attraverso le bombe, a maggior ragione se a uranio impoverito. A cose fatte vediamo che in Kosovo, nell'ultimo anno è stata attuata una pulizia etnica a parti invertite. 260.000 persone, di etnia non albanese, sono state cacciate via dalle loro terre. Solo nell'ultima settimana otto persone di nazionalità serba sono state uccise in Kosovo, tanto che Kofi Annan ha parlato di un pericoloso deterioramento delle condizioni di sicurezza e di un crescendo di attacchi contro la comunità serba tali da minare la loro fiducia negli organismi internazionali. A Mitrovica, la Berlino del Kosovo, si vive murati e divisi. Questa non è la pace che vogliamo. Manca una strategia internazionale. L'instabilità regna in tutta la regione, in Montenegro le cui recenti elezioni amministrative hanno disegnato un quadro a dir poco preoccupante, in Macedonia, in Vojvodina ed in Bosnia dove la convivenza fra croati, serbi e musulmani è sempre nelle mani dei militari.
Tutto questo non ci soddisfa, né ci soddisfa la strategia dell'embargo formalmente rivolta contro Milosevic ma in sostanza diretta contro la popolazione civile innocente e costretta a morire di fame. Ma neanche ci soddisfa il Patto di Stabilità voluto dalla Unione Europea tutto orientato a creare le condizioni di stabilità economica per una ripresa dei mercati. L'Europa deve farsi carico dei Balcani, non solo, diciamo noi, con un processo di stabilizzazione, ma con un percorso di pace e democrazia. Ed ecco perché, riprendendo un filo che già dal tempo della guerra legava molti di noi parlamentari di maggioranza e di Rifondazione alle associazioni pacifiste ed alle organizzazioni umanitarie, con una mozione presentata in senato abbiamo inteso rilanciare la proposta di una Conferenza per la pace e la democrazia nei Balcani, partendo dall'assunto che la soluzione per il Kosovo non si trova in Kosovo. Su queste basi rinnovo l'impegno, anche a nome di molti colleghi parlamentari, come è avvenuto durante la guerra, a coordinarci con la società civile italiana ed internazionale. Un coordinamento funzionale ad un lavoro comune, alla massimizzazione delle nostre risorse, alla sommatoria degli sforzi per raggiungere obiettivi condivisi. Questo abbiamo cercato di fare nelle scorse settimane e questo ci impegniamo a fare nel prossimo futuro. Durante la guerra eravamo in cento, nella maggioranza che allora sosteneva il primo governo D'Alema, ad esprimere una forte opposizione ai bombardamenti. Ora in un clima diverso, emotivamente meno coinvolgente, noi intendiamo allargare il fronte di chi auspica un processo di pace duraturo per i Balcani. Non siamo i soli a dirlo e non siamo certamente una minoranza: giusto pochi giorni fa Francia e Germania hanno annunciato l'intenzione di convocare entro l'anno una conferenza internazionale sui Balcani per contribuire al rafforzamento della pace e della stabilità nella regione. Una conferenza che coinvolga tutti gli stati della regione. Ed è questo ciò che anche noi vogliamo. E l'Italia ha, in Europa, un dovere in più. E' paese di confine, a noi si guarda come terra da raggiungere. E allora dobbiamo costruire le condizioni perché il nostro Paese e l'Unione europea non si sottraggano ad un ruolo di rafforzamento della pace, della democrazia e dei diritti umani. Anche l'Italia deve battersi per una conferenza di pace entro l'anno. Non è pensabile infatti che entro pochi anni dieci paesi dell'Europa centrale e orientale - Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia - entrino a tutti gli effetti nell'Unione, senza che questa non si sia resa protagonista nella vicenda dei Balcani con una iniziativa internazionale di pace. Una conferenza di pace che coinvolga tutti gli stati dell'area, anche la stessa Serbia. Una Serbia nei confronti della quale non può e non deve continuare l'embargo selettivo voluto dalla Ue. Un embargo che come tutti gli embarghi rischia di rinsaldare ulteriormente al potere il regime di Milosevic. Nè la sua perdurante presenza al potere può essere ritenuta giustificazione alla inerzia europea.
Noi vogliamo una pace che non sia solo assenza provvisoria di guerra, ma che veda popolazioni, etnie e religioni diverse in un unico grande territorio quale quello, a noi limitrofo, dei Balcani. Ed allora abbiamo chiesto al governo fra l'altro di prendere un impegno: 1. ad intraprendere ogni iniziativa utile per porre fine all'embargo della Ue nei confronti della Serbia; 2. a prevedere, anche direttamente, l'invio di aiuti umanitari alla popolazione civile serba; 3. ad evitare che nella fase degli aiuti diretti alla popolazione civile colpita dalla guerra nei Balcani ed ai profughi, vi siano discriminazioni sulla base dell'origine etnica; 4. a costituire un tavolo di coordinamento con tutte le organizzazioni non governative che operano nei Balcani e a sostenere in tutti i modi il lavoro delle agenzie delle Nazioni unite, quali l'Acnur, impegnate in progetti attinenti la democrazia, lo sviluppo e i diritti umani;5. promuovere, nelle opportune forme ufficiali e istituzionali, la raccolta di campioni adatti a rintracciare l'uranio impoverito (polveri, strati superficiali di terreno, miele, cere, carote di conifere, ecc.) nei territori più colpiti e le successive analisi per valutare l'impatto sulla salute umana e sull'ambiente, anche sostenendo i contatti già avviati dal ministero dell'ambiente per la raccolta da parte di agenzie scientifiche italiane e finanziando una ripresa della missione della Task Force dell'Unep; 6. affidare al nostro ambasciatore presso le Nazioni unite l'incarico di avviare le procedure per emendare le convenzioni internazionali Cwc e Ccwc in modo che le armi a uranio impoverito siano inserite tra quelle messe al bando. 7. intraprendere e promuovere tutte le iniziative necessarie affinché la Nato adotti e applichi protocolli di azione specifici che escludano l'uso di armi a uranio impoverito; 8. intraprendere ogni iniziativa utile affinché che vi sia una rappresentanza stabile della società civile ai tre tavoli (per la democratizzazione e i diritti umani, per la ricostruzione economica, sviluppo e cooperazione, per la sicurezza) istituiti dal patto di stabilità; 9. prevedere che fra gli obiettivi del patto di stabilità vi siano i seguenti: fermare la violenza e le violazioni dei diritti umani che continuano nella regione, prevenire lo scoppio di nuovi scontri armati, favorire uno sviluppo concreto della pace, della sicurezza e della democrazia nella regione, per promuovere l'integrazione dei Balcani in Europa, rafforzare i rapporti di solidarietà e cooperazione tra le organizzazioni della società civile, gli enti locali e le regioni delle due sponde dell'Adriatico per costruire un nuovo tessuto sociale, economico e civile che punti alla cooperazione trans-frontaliera, al sostegno alla società civile locale, al rafforzamento del ruolo delle comunità locali, alla istituzione di ombudsman nazionali e di settore, alla protezione delle minoranze, alla ricostruzione ambientale, alla formazione sui diritti umani, al sostegno al rientro dei profughi serbi, alla creazione di servizi comunitari e sociali in particolari per minori e donne, al sostegno al microcredito ed alla economia sociale; 10. assumere quale obiettivo primario di politica estera europea la previsione di una Conferenza internazionale per la pace, la democrazia e i diritti umani nei Balcani di cui l'Europa si faccia promotrice. Sappiamo che non è poco. Sarebbe una inversione di rotta nella politica estera italiana e noi vogliamo promuoverle insieme alla società civile italiana ed alle associazioni pacifiste.
(da "il manifesto" del 23/07/00).
E se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri senza le barricate, senza feriti, senza granate se avete preso per buone le "verità" della televisione anche se allora vi siete assolti siete lo stesso coinvolti.
Fabrizio De André, 1973
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