Il materiale che trovate in questa pagina è tratto dal quotidiano "il manifesto" di mercoledì 17 febbraio 1999.

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Europa vigliacca di Pietro Ingrao
L'hanno arrestato, "Apo". Esulta il tiranno turco: finalmente gli ha stretto le manette ai polsi. E sono celebri nel mondo le carceri turche. Come si dice: di massima sicurezza. Film e romanzi ne hanno raccontato al mondo gli orrori. Sta lì, ora, Ocalan, in quelle tane. Glielo ha consegnato ai turchi l'Europa vigliacca, in cambio di affari e di basi militari, così obbliganti ambedue e al di sopra di tutto. Che vergogna.
Era venuto, Ocalan, cercando per l'avvenire del popolo kurdo una possibile via di pace, una svolta rispetto alla lotta armata. Lo sapevamo. L'aveva detto pubblicamente. Eppure i civili governi europei l'hanno cacciato. Gli hanno negato un tetto qualsiasi, un lembo di terra; gli hanno rifiutato pure il diritto d'asilo, questa parola così dolente e amara che sembra non si possa negare nemmeno a un cane rognoso, nei luoghi del mondo cristiano, nelle cattedrali solenni dei diritti umani.
Gli hanno rifiutato, a Ocalan, persino il diritto di parola dietro le grate di un tribunale, come egli aveva chiesto generosamente e pubblicamente, per raccontare dei problemi del suo popolo. Domandiamo: a chi, a che cosa poteva far danno il kurdo ammanettato che parlava dentro una corte di giustizia europea, con i gendarmi di sentinella? Rispondeteci, signori del governo.
Che altro doveva accettare il kurdo ribelle più che farsi imputato e prigione, pur di potere parlare al mondo delle condizioni del suo popolo?
L'Europa vigliacca ha avuto paura della verità anche nelle condizioni di massima sicurezza e con il ribelle in manette. Sporca paura per i suoi affari e per le sue guerre. Come duole annotare che il governo di questo paese è stato partecipe e attore di tale scelta!
Ocalan aveva ammazzato? Ma diteci: che poteva fare se il suo popolo non aveva il diritto nemmeno di dirsi nazione, nemmeno di riconoscersi in un territorio, di darsi la sua legge - spezzato in tronconi tutti soggetti allo straniero, secondo una spartizione voluta o avallata dal civile Occidente?
Anche noi patrioti italiani ammazzammo, quando eravamo sotto il tallone tedesco. Chiamammo alle armi. E combattemmo non solo con l'esercito regolare. Ci facemmo partigiani. E fummo anche crudeli in certi casi, per guadagnare la pace e il diritto di nazione. Né erano dolci le bombe che piovvero su Dresda: non distinguevano fra soldati e civili, fra donne e bambini, fra casa e casa. In nome dell'indipendenza e della libertà calammo l'atomica su Hiroshima, quando ormai era atrocemente inutile. E abbiamo rivendicato il diritto di assalire i tedeschi in via Rasella, pagando alle Ardeatine il prezzo di più di trecento vittime innocenti. Per amore e bisogno di libertà.
Del resto, c'è anche un elemento di amara stupidità in questa consegna di Ocalan ai turchi. Siamo anche sciocchi. Ce la prendiamo con gli immigrati che sbarcano da noi su quegli aggeggi che io uso chiamare zattere. Per caso, su quelle zattere ci sono anche kurdi. Fuggono perché non hanno nemmeno diritto a una patria.
E noi ridicolmente con qualche straccio di legge pensiamo di fermare l'onda enorme che sale da un mondo oppresso e deprivato, mentre non abbiamo nemmeno il coraggio di garantire il diritto di parola a un senza patria che la invoca per il suo popolo. E nella lunga penisola non abbiamo disponibile nemmeno una stanza, uno straccio di casa per un esule che cerca una via per uscire dalla soggezione del Terzo mondo.
Infine l'ultimo punto: Ocalan è un comunista, anche se in un modo forse diverso dal mio. Ed è certo che l'Europa - pure quella socialdemocratica - l'ha abbandonato ai suoi aguzzini anche per questa lebbra che si porta addosso.
Attenti però. E' vero: il comunismo esce da una sconfitta storica, prima di tutto per gli errori e i guasti che l'hanno macchiato.
E tuttavia quella parola evoca un problema di liberazione di masse e di popoli, che neoliberismo e globalizzazione lungi dal risolvere stanno riacutizzando aspramente.
E si è visto nel corso di un secolo che temi di questa portata non c'è prigione al mondo che valga ad oscurarli. Non ci riuscirono nemmeno i campi nazisti. Certo ad una condizione per chi è assoggettato: battersi, schierarsi.


"Il mio popolo vi guarda".
L'ultima lettera di Ocalan prima dell'arresto.

Al tribunale civile di Roma.
Signor Presidente, stimati magistrati.
Vorrei poter essere presente personalmente all'udienza relativa alla mia richiesta di asilo politico, in modo da potervi spiegare personalmente la mia situazione.
Spero che questa possibilità, di cui vorrei sottolineare l'estrema importanza, mi sia garantita. Vi è certo noto l'incredibile accanimento con cui il governo turco mi sta inseguendo e considera il suo impegno prioritario entrare in possesso della mia persona, viva o morta. Il presidente Ecevit afferma che questo esito è imminente e la stampa è colma di dichiarazioni in questo senso.
Tuttavia nessun governo in questo momento sembra assumersi le sue responsabilità. Il livello di rischio è altissimo.
Attraverso il vostro Tribunale vorrei sollecitare il governo italiano a farsi carico della mia sicurezza personale fino alla fine della procedura giudiziaria che mi riguarda e alla relativa decisione. Sento la necessità di ricordarvi l'importanza storica della vostra decisione, sia dal punto di vista del popolo kurdo, sia da quello dei valori universalmente umani. Il regime turco è pronto a usare un vostro eventuale verdetto negativo in termini di negazione dell'esistenza di una questione kurda e di legittimazione della sua propria politica di annientamento. Questo avrebbe un effetto disperante sul nostro popolo, e aprirebbe la strada ad altri sviluppi negativi sia sul piano giuridico, sia sul piano politico. Ritengo mio dovere chiedervi di tenere conto, nella vostra decisione, dell'estrema importanza di questo aspetto della questione.
Rinnovo la mia totale disponibilità a partecipare non solo al procedimento intentato dalla Turchia per la mia estradizione, ma anche all'eventuale processo, che chiedo io stesso con forza di aprire, finalizzato a fare chiarezza sulla realtà storica, incluso il cosiddetto "terrorismo". Avverto coma una radicale ingiustizia il fatto che si diffondano accuse, ma si neghi una sede nella quale verificarle in giudizio. Nella mia persona si tenta di criminalizzare in realtà il popolo e la questione kurda: è un dovere giuridico elementare far approdare tutto questo in una sede di giustizia equa.
Faccio pieno affidamento nella scrupolosa sensibilità con cui questo Tribunale si esprimerà sulla mia istanza, e vi trasmetto i miei rispettosi saluti.

Il presidente del Pkk
Abdullah Ocalan




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