Da "Il Messaggero" dell'11 marzo 2002
Montella raggiante: «I miei primi quattro gol»
L’aeroplanino racconta la sua notte stellare e piena di emozioni
di UGO TRANI
ROMA - Quel sinistro vincente sotto la Nord, dopo diciotto minuti della ripresa, ha un valore storico. Montella con quella conclusione potente e precisa mette una firma unica nei derby della capitale. Quattro gol alla Lazio, nessun giocatore giallorosso c’era mai riuscito. «Ed è per me un doppio record, perché è la mia prima quaterna». Bisogna andare indietro di quasi quaranta anni, al 13 novembre del ’60, per trovare un altro giallorosso, capace di colpire, ma "solo" tre volte, contro i biancocelesti nella stessa partita. Un argentino, Pedro Mandredini detto Piedone, che forse tutti si ricordano per le reti mangiate che per i gol realizzati. Sì, proprio un argentino come Batistuta, che gli ha lasciato il posto in questa notte da favola.
Sono ancora i numeri, a rendere giustizia a Montella, che vive la sfida dell’Olimpico a braccia aperte, le ali in evidenza dopo ognuna delle sue quattro prodezze. In tre anni con Capello e in tre derby giocati è già a sette reti, una meno di Delvecchio, uomo derby per la facilità con cui nella sua carriera è riuscito a far gol alla Lazio, il primo giallorosso ad avvicinare il record di Da Costa, nove reti contro i biancocelesti. Adesso anche Vincenzino può provarci, visto che il suo futuro sarà giallorosso.
«Vivo una gioia incredibile. Quattro reti in un derby sono qualcosa che nessuno aveva mai provato prima di me. Saranno difficili da dimenticare.... Sono titolare, ho giocato da punta centrale, il ruolo che preferisco, ma presto si tornerà a parlare del solito tormentone sul mio impiego, sulle esclusioni, sulle sostituzioni. E’ divertente, porta bene» Nella serata di gloria, una nuova sostituzione, costante nella sua vita da romanista. Ma stavolta non poteva proprio fare a meno di uscire dal terreno di gioco, proprio nella notte in cui Capello per quattro volte aveva applaudito il piccolo centravanti, mai e poi mai lo avrebbe tolto in anticipo come fa di solito. Montella in panchina a diciotto minuti dal termine, colpa di un taglio all’arcata sopracciliare destra, una testata presa probabilmente da Couto in un’azione di gioco. Vincenzo scherza sull’episodio: «Di testate ne prenderei anche due a partita se in cambio avessi sempre la certezza di segnare quattro gol».
«Ho saputo che avrei giocato alle diciotto e trenta, prima di salire sul pullman che ci avrebbe portato all’Olimpico», racconta l’attaccante giallorosso. Ma già durante la settimana mi era arrivato qualche segnale che mi faceva sperare di tornare a giocare titolare nel derby», spiega Vincenzo. Ultima sfida con la Lazio non fu piacevole. Montella, due anni fa, firmò il gol del vantaggio sotto la Nord, ma alla fine fu la vittoria biancoceleste per 2 a 1 nella stagione del secondo scudetto della storia della Lazio. Nell’anno del tricolore romanista, invece, non partecipò al derby. «Ed è per questo che ci tenevo tantissimo a partire da titolare». In trentasei minuti scarsi è stato capace di eguagliare Manfredini e un altro giallorosso, Tommasi, che prima della guerra segnò anche lui una tripletta contro la Lazio. E ha sorpassato Piola, storico centravanti laziale, che si fermò a sei gol.
Tre reti in ventiquattro minuti, Zaccheroni, tra i due tempi, rinuncerà a Nesta, stordito dalle prodezze del centravanti di Pomigliano d’Arco. «Ma non era una sfida contro di lui, uno contro uno. Rispetto chi perde, non mi piace infierire perché mi darebbe molto fastidio che lo facessero altri con me. Si parla di Montella, ma bisogna evidenziare la superiorità della Roma, che giocherà sino alla fine per lo scudetto. Segnare di testa non è la mia specialità, poi addirittura due gol: ma era già successo con la Roma, un anno fa, contro l’Inter qui all’Olimpico, anche quella una vittoria pesante».
L’applauso più bello della Sud quando si mangia il gol più facile, la palla sulla testa grazie a un cross perfetto di Cafu dalla destra. Vincenzino sdraiato a terra davanti a Peruzzi, sconsolato per l’errore. Ma il popolo romanista lo rincuora con una standing ovation per farlo rialzare e caricarlo per l’impresa compiuta poi nel secondo tempo. Cassano lo accompagna negli spogliatoi con un bacio, all’intervallo. «Era il gol più semplice. Mi sono sentito troppo bravo, per i due gol fatti di testa, e ho colpito con sufficienza. Mi sono rimproverato».
Zero gol nel girone d’andata, si è sbloccato due settimane fa, il 23 febbraio, nella gara con il Perugia, prima rete in campionato e da tre punti. Adesso è a quota cinque, come l’anno scorso ritrova i gol nel girone di ritorno. «E’ solo un caso» la precisazione di Vincenzino. «Mi sono fatto male, sono stato fuori a lungo: non giocando non potevo certo segnare... Trapattoni? Non è un messaggio per il cittì, che mi ha sempre convocato se ero in condizione. Dediche non ne faccio, rischierei di dimenticare qualcuno».
Totti show: «Vittoria netta e una rete incredibile»
ROMA - Il capitano è raggiante. La tivvù gli ruba una frase, «cinque gol alla Lazio. Che spettacolo». Espone fiero, la sua maglia con la scritta, "6 unica", interamente dedicata alla Roma. Il gol? «Da fantascienza. Ho visto Peruzzi fuori ed ho provato». Uno lo ha fatto, sul terzo di Montella, ci ha messo o zampino. «I giocatori della Lazio mi guardavano ed io ho deciso di affondare. Vincenzo è stato bravissimo. Gli faccio i complimenti, lui è un campione vero. Vincere un derby in questo modo è una sensazione meravigliosa. Lazio umiliata? Diciamo che abbiamo vinto per manifesta superiorità. Ci siamo sbloccati ed ora viene il bello. Lo scudetto? Lo possiamo perdere solo noi. Siamo la squadra più forte del campionato».
Raggiante, ma senza gol, Delvecchio. «Mi dispiace non aver raggiunto Da Costa. Adesso, mi sento insidiato da Montella che ha realizzato solo un gol meno di me. Scherzi a parte, è stata una vittoria fantastica. Continuiamo su questa strada».
Un altro artefice del successo giallorosso, Candela. «Ed è andata come previsto. La Lazio non è stata mai in partita. Lo scudetto? Sogno il bis. Tutto è possibile. Godiamoci questo primato, intanto».
«Ho visto la Roma più bella della stagione»
Capello orgoglioso dei suoi: siamo ancora più forti dell’anno scorso
di ALESSANDRO ANGELONI
ROMA - Un trionfo in piena regola, una vittoria netta, schiacciante. Tensione giusta, preparazione della gara pienamente azzeccata, gioco lineare e pochissimi errori. Capello è senza dubbio uno degli artefici della vittoria dei suoi sulla Lazio, in un derby che si manifestava decisivo per la classifica. «Questa vittoria netta ci dà morale per affrontare queste ultime partite che prevedo dure. Da ora in poi, la Roma giocherà tutte finali».
E' soddisfatto e orgoglioso dei suoi, Fabio Capello. «Ho visto la migliore Roma della stagione», dice fiero alla fine della partita. Specialmente il primo tempo è stato impeccabile, con Candela e Delvecchio a pressare la fascia sinistra, debole per la Lazio, «sono cose che abbiamo provato...», spiega. Quarantacinque minuti, tre a zero e gara quasi chiusa. «Abbiamo giocato con personalità, precisione, intensità e velocità, sbagliando poco e niente. L'abbiamo preparata bene per tutta la settimana e il risultato si è visto in campo. In genere questo spettacolo di gioco, la Roma è abituata a mostrarlo per venti, venticinque minuti a partita. Con la Lazio l'ho visto per quasi tutti i novanta minuti e questo mi rende particolarmente orgoglioso. Abbiamo giocato come volevo io. E' la Roma che piace a me. Mi sono arrabbiato sul tre a uno, in quel momento abbiamo smesso di giocare e la squadra non girava più come al solito».
La Lazio è stata poca cosa? «Io posso solo dire che ho visto una grande Roma. Con Inter e Juve sarà una sfida fino all'ultima giornata. Stiamo dimostrando di essere più forti dello scorso anno. Lo stiamo facendo valere anche in Europa, viste la ultima sfida col Barcellona e quella precedente col Real Madrid».
Più facile del previsto? «Non l'ho mai creduto. In genere le partite, specialmente i derby, vengono preparate per essere vinte. Ma non sempre ci si riesce. A volte i risultati arrivano a sorpresa e il gioco non è mai quello che ti aspetti. Però, devo dire che questa volta la Roma mi ha veramente impressionato, ho visto un bel calcio, proprio come è successo con la Juve. Solo che stavolta sono arrivati i gol».
A proposito di gol: è il Montella day? «Direi proprio di sì. Vincenzo è stato decisivo, ha un fiuto del gol impressionante e può fare la differenza. Tutti i gol sono stati di ottima fattura».
Qualcuno gli chiede se da ora in poi, il numero nove giallorosso possa diventare un titolare inamovibile. Piccata, la risposta di Capello. «Nella mia testa, tutti lo sono. Perché non ha giocato fin ora? Solo perché sono appena due partite che può essere proposto come titolare. Infatti, l'ho fatto giocare sia a Lecce, sia stasera. Due gare, appunto».
E se è stata la serata di Montella, non lo è stata certo per Batistuta. Sull'esclusione dell'argentino, la versione ufficiale la fornisce Capello. «Gabriel ha sentito un dolore al ginocchio il giorno prima della gara. Poi, poco prima di andare allo stadio ho parlato con lui e mi ha ribadito di avere ancora quel fastidio. Visto che non potevamo regalare un uomo alla Lazio abbiamo deciso, insieme col dottor Brozzi, di lasciarlo a riposo. Lui, per non perdere l'allenamento è rimasto a Trigoria a lavorare (con il preparatore Dainelli, e poi è andato a casa senza mia andare allo stadio, ndr). In questo caso, abbiamo pensato anche al Galatasaray».
Sensi commosso: «Resterà nella storia»
ROMA - «Questa è storia. E’ un successo che resterà nella storia». Commosso e felice, Sensi esce tra gli applausi e va subito a complimentarsi con Capello negli spogliatoi. «L’ho abbracciato, gli ho detto che è un grande professionista, l’ho ringraziato per la sua tenaci. Mi ha regalato una serata indimenticabile, preparando nei particolari questa sfida. Questo successo è unico, resterà per senpre nella storia del calcio capitolino». Ne ha vissuti tanti, sin da bambino, in pratica tutti, grazie ai suoi 76 anni. Ma questo, il ventesimo da quando è presidente della Roma, è probabilmente il più bello.
«Sono felice per Montella: si è fatto trovare pronto. E Capello lo sapeva, non lo utilizza mai a casaccio. E’ stata una soluzione studiata. Così Batistuta è rimasto a Trigoria, senza nemmeno venire per non creare tensioni. Tutto programmato, nello stile della nostra società», spiega Sensi, raggiante e sereno. «Abbiamo costruito questo gruppo con pazienza e razionalità, soltanto con il tempo e un po’ di fortuna si possono raggiungere certi risultati. All’inizio non avevamo niente, non era nemmeno più una Rometta... Adesso la Roma è ai vertici del calcio mondiale, in tribuna sono venuti a segurci anche i nostri prossimi avversari in Europa, di Galatasaray e Liverpool».
E’ stata una settimana difficile per il presidente giallorosso. Gli alleati che lo invitano a rinuncioare alla battaglia contro il polo delle Grandi e a trattare in armonia con gli avversari. In pratica gli dicono di rinunciare alla candidatura, perché i club che contano del calcio italiano non lo accetteranno mai come presidente della Lega. Tra i suoi nemici, in prima fila Cragnotti. Che lo definisce arrogante, che reputa antiche le idee del numero uno romanista. In più la previsione spavalda del laziale, quel «Vinciamo noi tre a zero», che lo stranisce. Dopo la goleada (e anche durante), non si scalda: «Cragnotti non l’ho visto, so che è uscito dieci minuti prima. Io ho salutato cordialmente e sportivamente Paglia e Pulici».
La Sud è tricolore e la Nord se ne va
Scherzi, provocazioni e tristezze da derby
di RITA SALA
ROMA - Apoteosi. Trionfo. Come tutti i trionfi, a senso unico. E dire che era cominciata alla pari, sfida tra le sfide.
Apoteosi gialla e rossa, benché fossero gli altri, le aquile, i padroni di casa. Apoteosi a prescindere dai tempi, dal contesto elettrico, dall’ipnosi sanremese che ha avvolto l’Italia, per una settimana, nel comfort televisivo.
Ma come è cominciata, la fiaba del derby di ritorno fra Lazio e Roma, conclusa con un impietoso 5-1 per la squadra di Totti?
Poche botte di creatività dall’una e dall’altra parte. "Con Salas, Nedved e Nesta/ su a Torino/ nun te rimane che diventà juventino", recita uno striscione giallorosso di esordio. I laziali, di fronte, avevano appena tolto di mezzo l’articolato proclama: «Un cantante de Campobasso/ una spogliarellista de Fiano/ un presidente marchigiano/ e poi dici d’esse romano?».
Sarà la sindrome di Sanremo, sarà la toccata fallica ai danni di Baudo: Curva Nord e Curva Sud hanno attinto, per dare uno spirito alla partita, soprattutto a un desueto, inauspicabile repertorio di termini boccacceschi. Ce n’era per tutti i gusti, per le mogli delle star del calcio, per i burini che fanno rima con il sinonimo plurale di fellatio, per piselli e deretani delle opposte fazioni, per i vivi e per i defunti. Con dovizia di accrescitivi e diminutivi, comunque orientati verso i genitali.
Dov’è finito lo sfottò creativo? Fra la perduta gente, si direbbe, come la satira degna di essere chiamata tale. Dato che né la Roma né la Lazio dispongono di Giovenale, Marziale o Pietro Aretino, le rispettive tifoserie bene avrebbero fatto a prescindere dal luogo comune sessuale, rieditando piuttosto la vecchia fantasia. Per compensare, hanno scialato con chilometri quadrati di bandiere, testimonianza tangibile della vocazione materica dei nostri giorni.
«Alla Ferilli piace Dalla» è l’acuto laziale che dà sul becero. Gli si appaia soltanto, quanto a bassezza, uno striscione romanista con riferimenti mestruali. Decisamente meglio il semplice e puro "La Lupa è Roma". Qualche grazia nel "verme dietro l’automobile/ il vostro simbolo poco nobile" targato Lazio e riferibile ai serpentoni giallorossi sistemati nelle macchine dei lupi.
Decisamente più emozionanti le due dighe di folla con la bava alla bocca, in feroce attesa, poli antitetici dell’Olimpico, mura di corpi tesi, di braccia pronte ad alzarsi all’unisono per incitare i propri colori. Prima del calcio d’avvio, clima rovente. In mezzo, amante contesa, la vittoria.
La Nord ha puntato sul prologo. Ha dispiegato bandiere, aquile, un lenzuolo degno del letto di Polifemo con guerrieri a cavallo disegnati sopra, fatto vibrare da mille gole disposte all’esaurimento. La Sud, per contro, sfruttava l’arma, velenosissima, del tricolore: centinaia e centinaia di bandierine italiane sventolanti, frenetiche. E poi fumi, urla, incitamenti, cozzo di speranze e di passioni, un’Iliade accesa dal fuoco di 80.000 flussi di sangue. Nessuno, nei due campi opposti, poteva ancora prevedere il seguito.
Poi, il primo gol di Montella, fra le nebbie dei petardi e dei lacrimogeni. Il gran cavallo di Troia, preparato dai romanisti davanti a Peruzzi, cominciava appena a intravedersi, a uscire dall’invisibilità. E due, e tre. I lupi, a raffica, impietosi come gli Achei di fronte alle porte Scee, bombardavano il "nemico" prima del saccheggio.
Curva Nord ammutolita già alla fine del primo tempo. Curva Sud alle stelle. Eppure, sugli spalti laziali, qualche ostinato, invece di invocare la benedizione dei Lari e dei Penati (come ha fatto la Roma esibendo gli striscioni con il nome dei tifosi scomparsi), si azzardava ad esporre la frase "Zitti, culi neri". Stornava così dalla propria squadra la residua benevolenza del Cielo del calcio.
Già durante l’intervallo, era bell’e che consumata la tragedia dei tifosi biancocelesti. In Curva Nord, le prime defezioni, i primi lunghi silenzi, ad onta del gol buttato dentro da Stankovic a rianimare l’illusione dei suoi. In campo, tutto sommato, una certa lealtà. Proprio come tra Achille ed Ettore prima, durante e dopo il fatale duello. E quattro, e cinque. E ancora, ancora, sfiorando ripetutamente il sei. La Roma, memore che, quando sono in vetta, gli eroi non devono chiedere anche le nuvole, si astiene dall’insulto finale. Dalla Nord, l’esodo, emorragico, si consuma inesorabile, quasi incredulo del proprio perché, epilogo degno del dolore cosmico di Ecuba.
Sul campo, verdissimo nella notte dopo il fischio finale dell’arbitro, un cuore enorme, giallorosso, batteva forte, fortissimo. Fra gli applausi. All’impazzata.